24 febbraio 2025

Sul chi vive per sgamare le intelligenze artificiali

 Mi suona il telefono, un numero sconosciuto. Rispondo, tirando a indovinare.
«Pronto, non mi serve nessuna cella elettrolitica per la produzione domestica di idrogeno, grazie, la saluto»
«Sono Ermete, aiutami, sono improvvisamente cieco!»
«Ermete? Ma lavori in un call center?»
«Che call center? Questo è il mio numero. Ho bisogno di aiuto Bandini, non ci vedo più un cazzo neanche dall’occhio buono.»
«Così di botto? Forse è saltata la corrente.»
«Sono le dieci di mattina, testadicazzo!»
«Ok arrivo subito.»

Mentre guidavo verso la Zona Deumanizzata mi sono ricordato che Ermete non aveva un telefono cellulare. E se fosse la solita truffa telefonica? Magari fatta con la intelligenza artificiale che imita la voce di Ermete per estorcermi del denaro? Però non mi aveva chiesto soldi. Magari adesso arrivavo a casa sua e c’era una intelligenza artificiale con le sue sembianze pronta ad aggredirmi fisicamente e a derubarmi per poi andarsi a comprare la droga stupefacente. Un’intelligenza artificiale tossica. Tutto può essere, al giorno d’oggi come oggi. Meglio stare sul chi vive, Bandini, mi sono detto (quando parlo con me stesso mi chiamo sempre per cognome, per una forma di rispetto). Arrivato sotto casa di Ermete, ho notato che oltre al citofono rotto, ora c’era il portone di casa sfondato, il che effettivamente rende superfluo il citofono. O forse sfondare la porta è un modo originale di riparare il citofono. Magari un elettricista creativo, uno che si fa aiutare da una qualche intelligenza artificiale applicata ai lavori elettrici. Ho fatto le scale di corsa, la porta dell’appartamento di Ermete era aperta.
«Ermete? Ci sei?» ho urlato, senza entrare.
L'ho visto spuntare carponi nel corridoio.
«Sono qui, sono cieco» ha detto.
«Che ci fai in terra?»
«Mi muovo così per non sbattere e cadere.»
«Sei sicuro di essere tu? Ti comporti in modo strano. E se fossi un bot? Un’intelligenza artificiale tossica e malvagia?»
«Aiutami, stronzo!»
«Come faccio a fidarmi? Come hai fatto a telefonarmi? Tu non hai un telefono.»
«Me lo ha regalato un barbone.»
«Come no.»
«E va bene, non me l’ha regalato, me l’ha dato in cambio di una bottiglia di vino del discount.»
«Sei un pezzo di merda.»
«Vaffanculo, e la bottiglia l’ho rubata a un altro barbone, vuoi prendermi a calci per questo? Sono cieco! Fai qualcosa! Accompagnami al pronto soccorso.»
«Prima devo assicurarmi che tu sia tu.» Ho raccolto un pezzo di carta dal pavimento. Ho estratto la penna che porto sempre con me nel caso qualcuno mi chiedesse di firmare a favore del suicidio assistito per i feti di quattro mesi condannati a morte.
«Che cosa stai facendo?» piagnucolava Ermete, muovendo le braccia nell’aria davanti a sé.
«Ti sto scrivendo un test captcha per vedere se sei un umano oppure no» gli ho risposto, mentre scrivevo lettere e numeri sgorbi sul foglietto di carta.
«Ma sono cieco, perdio, cieco! Come cazzo dovrei farlo il test?»
«Quante scuse del cazzo» ho detto, e stavo per urlargli contro. Poi mi sono accorto di una cosa.
«Aspetta un momento». Mi sono accovacciato vicino alla sua faccia. «Coglione, ti sei messo la benda sopra l’occhio buono». Ermete si è tastato la benda, l’ha sollevata.
«Ah già.» Si è messo a sedere in terra, ridacchiando.
Gli ho dato il foglietto.
«Ora fai il test.»
«Che cazzo sarebbero questi sgorbi?»
Era lui, era Ermete, in carne ossa e rottura di coglioni. Un’intelligenza artificiale ci avrebbe letto qualsiasi cosa.


20 febbraio 2025

La logistica

Alfo dice che c'è sempre meno verde e campi e sempre più cemento e capannoni, e che questa si chiama logistica. Un tempo, migliaia di anni fa, eravamo tutti cacciatori-raccoglitori, quindi nomadi. Poi, a un certo punto, siamo diventati sedentari, e lì – dice Alfo – è iniziato il declino. Con l'agricoltura; e non contenti, abbiamo peggiorato le cose con l'industria. Abbiamo smesso di muoverci per procaccarci il cibo, ma almeno uscivamo di casa per andare a lavorare e per fare shopping. Dopo hanno inventato il telelavoro, e anche l'e-commerce, e adesso non dobbiamo più uscire per fare niente. Siamo fottuti. Prima noi uscivamo, dovevamo muoverci per procurarci le cose. Adesso stiamo fermi e facciamo muovere le cose e ce le facciamo portare comodamente a casa dalla logistica. Per ora la logistica si serve di esseri umani, ma tra un po' non serviranno più a niente, ci saranno le AI a gestire la logistica e i droni a consegnarci le cose, così non dovremo fare più niente. E questo si chiama tempo libero. I droni sono una tecnologia militare. Anche Internet è una tecnologia militare. Quasi tutte le tecnologie nascono militari, dice Alfo. E poi, dopo che sono state testate dagli eserciti, diventano tecnologie civili. Quindi noi maneggiamo molte cose che servivano per fare la guerra, per fottere il prossimo, e quindi cosa vuoi cavarne fuori di buono, da cose nate così. Vuoi sapere le cose con cui ci fotteranno nel prossimo futuro? Guarda la dotazione tecnologica attuale degli eserciti, e lo saprai. In realtà non puoi saperlo perché sono tecnologie coperte da segreto militare. Ma comunque, dice Alfo, vedi, se fosse il contrario: se fosse la tecnologia civile a passare poi al militare, per esempio uno inventa un sistema di irrigazione wifi solare per i gerani e poi questa tecnologia passa al militare, e un esercito la vuole usare contro la popolazione di un paese nemico e alla fine finisce con una pioggerellina gentile sul capo della gente, non sarebbe meglio una guerra fatta così? Perciò i tecnologi la smettessero di lavorare al soldo delle milizie e lavorassero al soldo delle civilizie, una buona volta.

15 febbraio 2025

Una nuova vita, forse

Al centro per l'impiego mi hanno detto che sono “troppo qualificato” e questo lega le mani a qualsiasi datore di lavoro che per venirmi incontro e non sovraccaricarmi di responsabilità sarebbe disposto a darmi un lavoro sottopagato di tutto rispetto. Così l’impiegata del centro mi ha consigliato di iscrivermi a un corso “deprofessionalizzante” grazie al quale, se mi applico, posso sradicare tutte le competenze e le qualifiche che ho acquisito in tutti questi anni di contratti Co.Pro.Fa.G.O. alla Clebbino e diventare così appetibile per il vivace e scoppiettante mercato del lavoro.
Naturalmente ho accettato.
Il corso si tiene tutti i lunedì e i giovedì sera alle ore 20 in una ex-palestra nella Zona Deumanizzata che per anni il Comune ha utilizzato come area di sgambatura per cani al coperto. Per la verità c'è ancora qualche ostinato cittadino che continua a portare il suo cane a sgambarsi nella struttura, e non è facile seguire la lezione restando seduti sui banchi di scuola con le rotelle dell'era Covid mentre un pitbull con gli occhi a palla strafatto di snack addizionati per cani sfreccia su e giù tra i banchi. L'insegnante una volta ha provato a spiegare agli avventori che quello spazio adesso ha una diversa destinazione ed è precluso ai migliori amici dell'uomo (e della donna, per carità), ma quando si è ritrovato atterrato da un dobermann pronto a recidergli la giugulare al primo segnale della sua padroncina tatuata, ha desistito.
La prima lezione è consistita nella riscoperta della fragilità come qualità necessaria per chiunque si affacci o si riaffacci nel dinamico mondo del lavoro. Per anni ci hanno fatto una testa così con la resilienza (parola che l'insegnante ha pronunciato deformando la bocca in una smorfia di schifo), ma come dice il proverbio, la resilienza genera mostri. È tempo di riapprezzare il suo contrario, la fragilità, la capacità di andare in pezzi facilmente, di soccombere alla prima difficoltà. Le aziende del terzo millennio hanno bisogno di lavoratori di questo tipo, che tremino, che sappiano tutta la loro finitudine e perciò siano consci della fortuna che hanno di essere ancora vivi, che tengano gli occhi aperti durante il turno di notte straordinario alla pressa o quando si muovono su un cantiere coraggiosamente privo delle più elementari norme di sicurezza. Mi sono tornati in mente i Giorni della Rivincita, quando lavoravo al Reparto Entropia della Clebbino e tutti i dipendenti potevano vendicarsi delle nostre marachelle torturandoci fisicamente e psicologicamente, era in fondo un modo per minare la nostra autostima e restituirci la nostra fragilità, tra l'altro si teneva proprio nella palestra aziendale, e questo oltre ad avermi riempito il cuore di nostalgia mi ha fatto riflettere su quanto fosse avanti la Clebbino rispetto alle altre aziende.
Ma una volta che sarò completamente dequalificato potrò di nuovo bussare alla porta della Clebbino e sarà come tornare a casa, sarà come ricominciare la vita daccapo, come tornare giovane, tornare a tremare come al primo appuntamento con una ragazza, le guance in fiamme, le unghie mordicchiate, la sensazione dolciastra di non meritarmi neanche un briciolo di felicità. Non vedo l'ora.