27 febbraio 2014

Dilemma sulla vita e la morte

Sempre più spesso mi capita di pensare a persone che conosco, o a persone note, e soltanto dopo un po’ che ci penso, realizzo che sono morte. Solo che io mi ero completamente scordato, che erano morte. Si dice che se uno dà per morto uno vivo, gli allunga la vita; ma se io do per vivo un morto che cosa faccio, gli allungo la morte?

12 febbraio 2014

Non m'importa di essere capito

Stamattina sono andato al cimitero, sulla tomba di mia madre. Era un sacco di tempo che non ci andavo. Ogni volta che ci vado mi sembra di avere sempre un sacco di cose da dire e da fare, ma poi succede che arrivo lì davanti, davanti alla foto di mia madre, che sulla parete di loculi occupa il 4D (immaginando un sistema di coordinate simil-scacchi o simil-battaglia navale), e nella foto mia madre mi guarda dall’alto in basso, un atteggiamento che non so mai bene come interpretare, e allora rimango sempre senza niente da dire. Anche stavolta ero arrivato lì davanti e non sapevo che dire, anche perché cosa vuoi dire a un cadavere ormai in avanzatissimo stato di decomposizione? Allora stavo zitto, guardavo i fiori nel vaso, vecchi di qualche giorno; doveva averceli portati zia Scimunetta, perché mio padre non porta mai fiori sulla tomba di mia madre; noi ci portiamo solo mazzetti d’ortica, che a lei piaceva molto l’ortica, soprattutto nella frittata. Dopo un po’ mi sono accorto che tra la lapide e il sostegno di metallo che regge il vaso dei fiori c’era qualcosa. Ho avvicinato la faccia per vedere cosa fosse, e ho visto che era un fungo, un fungo piccolissimo, di un paio di centimetri, marroncino. Il cuore ha cominciato a battermi forte. Che ci faceva quel fungo lì? Mi sono guardato attorno, non c’era nessuno. Ho accostato ancora di più la faccia, e ho sussurrato al funghetto:
– Psss. Psss. Mamma. Sei... sei tu?
Il funghetto ha come dondolato il suo cappello marroncino. Era il segnale. Lo stesso identico gesto di mia madre, quel cenno con la testa che mi faceva per farmi capire che mi stava ascoltando, anche mentre faceva altro. Il segnale che mi stava ascoltando anche adesso, nonostante fosse alle prese con questa sua nuova natura micologica. Allora le ginocchia mi hanno tremato, mi sono dovuto appoggiare alla lapide di 4C per non cadere, e sempre appoggiato a 4C (scusami tanto 4C, era un’emergenza) ho cominciato a parlare a mia madre, a raccontarle tutto, tutto quello che c’era stato dopo la sua morte, la mia storia con Betsabea e la nascita di Domenico, il suo nipotino!, le puntate di Criminali Buffi che non aveva potuto vedere, la relazione di mio padre con Maya la giornalaia e la loro partenza per Vladivostok, io che insieme a Ermete libero Cinzia Pontesi dalla Cassa Ibernazione, la morte di Betsabea, squartata da un testimone di Geova senza scrupoli, la scomparsa (o il rapimento?) di Domenico, quella volta che mi si è rotta la chiave nella serratura e ho dovuto chiamare il fabbro, il mio trasferimento nella Zona Deumanizzata, e poi il mio ritorno a casa, e il contemporaneo ritorno di babbo da Vladivostok.
“Appena tornato sai cosa mi ha detto? Che si era risposato! Ma mica con Maya, che nel frattempo avevano litigato e si erano mollati, no! Con una cameriera russa conosciuta là, Sveta, Svetlana, che ora si è trasferita nella nostra... nella vostra... nella loro, insomma, ora vivono insieme qua. L’ho conosciuta poco prima di Natale, cosa vuoi che ti dica, non è male, certo non è alla tua altezza, però tutto sommato è simpatica, secondo me è un po’ alcolizzata, ma a parte questo è a posto, soltanto con l’italiano ancora proprio non ci siamo, certe volte mentre parla emette tutti dei suoni strani, dei fruscii, come una radio male sintonizzata, vorresti girare la manopola per togliere tutto quello sfrigolìo ma non ci sono manopole, è così, è il suo modo di parlare italiano, speriamo che si sintonizza da sola. E niente. Ma pensa tu! Un fungo! Ma come ti... comunque, anche io ora mi sto rifacendo una vita, ora convivo con Dolly, che è una pe - è adorabile, Dolly, così discreta, così tenera, ti piacerebbe. Sì. No. Magari una volta o l’altra, chissà. Come? Eddài, adesso non ricominciare, lo sai. Non puoi chiedermi questo, lo sai che non lo farò mai. Uffaaaa! Sì. Sì. Ho detto di sì. E va bene, non ho niente nella testa, può anche darsi, però adesso basta. Mamma lo sai benissimo, no? Sono un ribelle, mamma! L’ho deciso, e non m’importa di essere capito. Ok? Ora vado a casa, ciao”.
Certe volte mia madre è proprio impossibile. Riesce a farmi arrabbiare anche da fungo.
I cimiteri hanno questa cosa bellissima, i sentieri di ghiaino. Camminavo su questo sentiero, non c’era nessuno intorno e nessun rumore, solo il rumore delle mie scarpe da tennis sul ghiaino. Facevano questo suono bellissimo: freak!, freak!, freak! Mi scappava da ridere, non so perché.

7 febbraio 2014

La gente incasina tutto

Sono andato da Mediaworld per vedere in tv un programma di cui mi aveva parlato mio padre a Natale, si chiama Piccoli Casi Umani aka Casini Umani, sul canale 521 del digitale terrestre. Il protagonista di questa puntata era un tizio che fa il barbone, ma non un barbone come gli altri. Lui infatti invece di indossare vecchi abiti e puzzolenti, indossa uno smoking sempre perfettamente lavato e stirato, si lava e si rade tutte le mattine, e quando chiede l’elemosina lo fa con grande sussiego. L’intervistatore gli ha chiesto perché fa il barbone, visto che non ha proprio l’aria del barbone: e lui ha risposto che intanto preferisce essere chiamato senzatetto, visto che barbone non è, essendo egli perfettamente rasato; e poi che si tratta di una scelta di vita, cosa tra l’altro non così rara tra i senzatetto o barboni che dir si voglia. Semplicemente, lui non vuole conformarsi allo stile di vita imperante tra i senzatetto, e quindi gira con questo smoking (anche se lo smoking a rigore sarebbe un abito serale, ha spiegato all’intervistatore, ma purtroppo è l’unico abito in suo possesso e non può indossarne un altro), che una volta a settimana lava in una lavanderia a gettoni e poi si fa stirare gratis in una stireria cinese. “Tutti gli altri senzatetto mi evitano come la peste, mi considerano un reietto, un diverso, per il mio modo di vestire e di comportarmi, insomma per loro sono la feccia” ha spiegato. E spesso sono anche i comuni cittadini, i passanti qualunque, i non-barboni, a guardarlo con scherno, diffidenza o fastidio. “Non si giudica un libro dalla copertina” protestava il senzatetto elegantone, “sono solo l’ennesima vittima del conformismo borghese” continuava a ripetere, mentre rovistava con eleganza tra i cassonetti della raccolta differenziata sotto l’occhio impassibile della telecamera. Molti non gli facevano nessuna elemosina, e spesso veniva anzi preso di mira da bande di balordi che cercavano di picchiarlo o peggio, dargli fuoco. Per fortuna che lui pratica il kung-fu, ha spiegato sorridendo alla telecamera. “Lei sorride anche quando chiede l’elemosina?” gli ha chiesto allora l’intervistatore. “Certo”, ha risposto l’uomo, “il sorriso è importante, lei comprerebbe mai una macchina da un venditore che piagnucolando le dicesse per favore, per favore, compri questa Mercedes Classe E, ho fame e due figli piccoli, per favore!”. “Arrivederci al prossimo Casino Umano!” ha detto alla fine il conduttore del programma. “Si guarda la tv a scrocco eh?” ha detto una voce alle mie spalle. Mi sono girato, era l’addetto alla sicurezza che studia filosofia all’università serale. “È che non riesco a decidere quale acquistare” ho detto io. “No, amico. Tu non guardavi la tv. Tu guardavi dentro la tv”. “Per guardarla dentro, dovrei aprirla. Invece io non l’ho toccata”. L’addetto alla sicurezza mi ha scrutato dall’alto al basso. “Divertente. Stai cercando di confondermi le idee, vero? Come i pivelli che confondono il noumeno con la cosa in sé.” “Il noumeno?”. L’addetto alla sicurezza mi ha afferrato un orecchio. “Il noumeno, sì! Quello kantiano, naturalmente, non quello platonico. Ma una cosa è il noumeno, e una cosa è la cosa in sé – questo Kant lo specifica bene – ma nonostante questo la gente non capisce, la gente pensa che il noumeno sia oggettivo e non una rappresentazione della mente, ed ecco che la gente incasina tutto, la gente incasina sempre tutto, e il risultato qual è? Che si comincia a spiegare il mondo con la metafisica”. “Ahio” ho detto io. “Quello che purtroppo mi sfugge è: che differenza c’è, tra percezione e appercezione? Eh? Eh? Il tuo dolore è percezione, o appercezione?” Io ero ormai in ginocchio, sempre tenuto per un orecchio, e non riuscivo a rispondere per il dolore, e allora ho aperto il palmo della mano con le dita distese e separate, e ho fatto basculare la mano in aria, come per dire: un po’ e un po’.

3 febbraio 2014

Contro le porte

Secondo me una delle invenzioni più inutili dell’universo sono le porte. Non so le porte degli altri, ma le porte di casa mia sono sempre aperte quando dovrebbero essere chiuse, e viceversa. Ogni maledetta volta che devo uscire di casa la porta di casa com'è? Chiusa, naturalmente! Ed ecco che per uscire mi tocca aprirla, ogni volta. E lo stesso quando torno a casa! Torno a casa e ci dovrei entrare a casa, ma la porta no, la porta è chiusa, e allora ecco che passo un quarto d’ora a cercare le chiavi in tasca per aprirla. E dopo che sono entrato, secondo voi la porta com’è? Chiusa? Certo che no! È aperta, perché ho dovuto aprirla per entrare, ed ora ecco che mi tocca chiuderla, perché ormai sono entrato, e ora deve stare chiusa, ma lei è aperta, e a me tocca chiuderla. E chiusa sarà anche quando dovrò uscire di nuovo, e non se ne esce, è sempre nello stato opposto in cui mi serve nel momento in cui ci devo interagire. Mai una volta che la trovi aperta quando devo entrare, e chiusa dopo che sono entrato, mai, mai e poi mai. Sempre in mezzo ai piedi, sempre a mettersi d’intralcio, invenzione diabolica! Certe volte ho cercato di far finta di niente, di ignorarla, di passare facendo finta che fosse aperta, per esempio. Ma secondo voi ha funzionato? Manco per il cazzo! Ah, le craniate! Ah, le bestemmie e le imprecazioni! Eppure ci sarebbe il 50% di probabilità, ogni volta, di trovare una porta nello stato che mi interessa: aperta o chiusa. E invece niente, è sempre sempre sistematicamente nello stato opposto, contro ogni legge probabilistica, contro ogni logica razionale dell’universo tutto. Ne ho parlato con mio zio, una volta, e lui: la soluzione c’è, nipote, sono le fotocellule! Le porte che si aprono e si chiudono automaticamente! Le tue pene sono finite! Ma queste porte automatiche non funzionano bene per niente, l’altro giorno ero dal fornaio e il fornaio ha questa porta automatica a vetri del cazzo, e così mentre io stavo per entrare lei si è aperta e io ho pensato, “volesse la Madonna”, una volta tanto, ma era soltanto un’illusione, uno sberleffo del fottuto destino, perché dopo che ero entrato ecco che mi sono messo in piedi vicino alla porta, perché il locale era pieno di gente e c’era coda e insomma si stava stretti e io mi sono dovuto accostare alla porta, e che succedeva? Che come io alzavo una mano per toccarmi i capelli, o battevo un piede, o ruotavo un gomito nell’aria, quella stupida di una porta si apriva, come a dire: ecco fatto, esci pure! Ma vaffanculo, porta di merda! Non devo uscire, non lo vedi che sono qua in coda, che c’è mille persone davanti a me, ci vorranno secoli, e tu allora che cosa ti apri a fare, mi prendi in giro? Chiuditi, che fa freddo e mi becco un malanno, e lei si chiudeva, e io scrollavo il capo per il nervoso, ed ecco che lei si apriva di nuovo, la stronza! Insomma non c’è pace con le porte, e quando sento la gente lamentarsi dei muri, tipo del muro di Israele, o di quello che c’era a Berlino, io non resisto, mi intrometto nel discorso e dico: cosa vuoi che sia un muro, un muro almeno è sempre un muro, chiuso e basta, e quindi la metà delle volte se non altro sarà nello status giusto, desiderato, ma immagina che cosa poteva essere la Porta di Berlino, o che cosa potrebbe essere oggi la Porta di Israele, se mai esiste. Vuoi fare incazzare i popoli? Allora non costruire i muri, costruiscigli le porte! La gente, non sa quello che dice.