27 novembre 2008

Quella lì

Na nannà na-nà na na na, Na nannà na-nà na na na, Na nannà na-nà na na na, nannà na na na. Na nannà na-nà na na na, Na nannà na-nà na na na, Na nannà na-nà na na na, nannà na na na. Na nannà na-nà na na na, Na nannà na-nà na na na, Na nannà na-nà na na na, nannà na na na.

(niente, è che ho questa canzone in testa ma non mi ricordo il titolo e neanche le parole, capito quale.)

25 novembre 2008

Assegnati dal destino

Domenica sono andato al cinema con la mia fidanzata, Armenia.
Il cinema era un multisala, nei multisala ti stampano il biglietto con il posto assegnato, come quando prenoti il treno, solo che noi non avevamo prenotato un bel niente. Ora una delle cose più belle del cinema secondo me è che quando tu entri poi ti siedi dove ti pare, compatibilmente ai posti già occupati ovviamente, non credo che sedersi sulle gambe di qualcun altro sia una buona idea, anche se non ho mai provato in effetti. Comunque, io al cinema pago e mi voglio sedere dove preferisco, compatibilmente eccetera, però se voglio sedermi in prima fila perché mi piace vedere i primi piani stratosferici ed essere fagocitato dai protagonisti, ho tutto il diritto di farlo. Se voglio sedermi laterale perché mi piace seguire la storia obliquo, perché magari mi piace guardare i film e in generale la vita di traverso, ho tutto il diritto di farlo. Se voglio sedermi in fondo perché oltre a quello che passa sullo schermo voglio vedere anche le sagome di tutte le nuche degli altri spettatori, ho il diritto di farlo. E invece nei multisala non solo di solito ti fanno pagare di più di quanto si paga in un monosala, ma pretendono anche di dirti dove ti devi sedere, capito. Ciò è intollerabile, ciò Jimmy Bandini non è disposto a tollerarlo. E quindi entrando in sala ho detto ad Armenia: noi adesso ce ne freghiamo e ci sediamo dove ci pare e piace, e Armenia mi ha detto "Sei un ribelle, Jimmy, ed ecco perché ti amo" e io ero anche piuttosto compiaciuto del mio essere ribelle. Purtroppo però ho commesso un errore. Ho fatto l'errore di guardare, per curiosità, quali fossero i posti che ci erano stati dittatorialmente assegnati dalla biglietteria. E che cosa ho scoperto? Ho scoperto che i posti che ci erano stati assegnati, e che quindi erano nostri, di diritto!, erano occupati! Da un'altra coppia!
Non ci ho visto più.
Sono andato dritto dalla coppia di fraudolenti sventolando ben bene i miei due biglietti.
– Questi dove siete seduti, signori belli sono i nostri posti, di diritto – ho detto.
– Be', ci sono un sacco di posti vuoti, qua intorno – ha detto il tizio della coppia. Smargiasso.
– Ma si dà il caso che il Fato, il Destino Supremo, la Legge Cosmica, ci abbia assegnato, tra le centinaia di posti possibili, proprio quelli dove siete seduti voi. Quindi, signori belli, smammare.
– E capirai! Prendeteveli pure, i vostri due posti – ha detto il tizio, e si sono spostati quattro posti più in là. Io, tutto soddisfatto, mi sono seduto al posto che mi spettava di diritto. Armenia si è seduta accanto a me, muta.
Quando le luci si sono abbassate, ad Armenia ho sussurrato:
– E comunque nessuno può dirci dove dobbiamo sederci, alla fine del primo tempo ci spostiamo.
Il film non mi ricordo il titolo, era la storia di un uomo che nella vita lotta per diventare qualcuno, e alla fine ci riesce.

14 novembre 2008

Tana per te

Mi ricordo quel giorno che eravamo fuori dal liceo perché doveva esserci lo sciopero, e poi alla fine lo sciopero saltò e tutti iniziarono ad entrare, noi ci guardammo negli occhi e pensammo la stessa cosa. Come si fa ad andare a scuola quando ci s’è fatta l’idea che non ci si andrà. Così girammo le spalle e gli zaini verso l’entrata della scuola e ce la svignammo. Se tutti gli studenti non vanno a scuola è uno sciopero, se solo due non ci vanno è seghino, o sega, o fare forca, o schissare, o tagliare, o salare, o impiccare, o fare lippa, o fare manca, saltare, bossare, conigliare, fare berna, fare fuoco, fare puffi, fare chiodo, o fare brucia, fare cuppo, far filone, fare fruscio, nargiare, allazzare, calliare, stampare, persino allunare!
Allunammo.
Finimmo all’ex zoo comunale, le gabbie con le scimmie non c’erano più da anni, così come la gabbia con lo stronzo pavone che non ho mai visto fare la ruota, o la gabbia con le galline (in quale altro zoo al mondo c’era una gabbia con le galline?). Adesso c’erano solo cespugli incolti ed erbacce e puzza di acqua stagnante. Tu ti arrampicasti sul greto asciutto del ruscello facendo con la voce la musica di Indiana Jones. Nanna-nannà! Na-na-nà! Nanna-nannà! Na-na-nà, nà, nààà! Non si riusciva a starti dietro. In mezzo a un cespuglio trovammo le pagine strappate di un giornaletto porno, quando ci avvicinammo esplose una nuvola di insetti.
Tu avevi una sigaretta in bocca, spenta, perché non avevi l’accendino. Io non fumavo. Percorrendo il viale silenzioso tu inventasti una canzone che faceva: “Vojo d’accènde! / Vojo d’accènde!”.
A metà mattina mi chiedesti che cosa avrei voluto fare da grande. Non ricordo cosa ti risposi. Io lo chiesi a te. Non ricordo cosa mi rispondesti.
Per buona parte della mattina mi lamentai del fatto che ero sicuro che il prof di latino mi avesse visto, davanti alla scuola, e tu a dirmi ma no, ma no.
Vojo d’accènde!
Vojo d’accèndeeee!

Il giorno dopo venne fuori che il prof di latino aveva visto te, e non me.
A questo punto dovrei scriverlo, dire che sei mancato, stanotte, ma preferisco dire un’altra cosa – perché secondo me è più vera – preferisco dire che hai fatto seghino, hai fatto berna, puffi, brucia, hai fatto cuppo, filone, fruscio, hai saltato, bossato, salato, nargiato, conigliato, allazzato, calliato! Sei allunato!
Ciao, Vanni.

12 novembre 2008

Quattordicimila rese

Ho letto su Internet che battiamo le palpebre quattordicimila volte al giorno, il che significa quattordicimila blackout. Ogni giorno, per quattordicimila volte, precipitiamo nel buio. Questo da una parte mi ha tirato su il morale perché mi ha fatto pensare che anche se non ce ne rendiamo conto, al buio evidentemente ci abbiamo fatto il callo. Poi però ho pensato a quante cose mi perdo in quei quattordicimila istanti di ogni giorno, quanti dettagli virate di luce cose sfreccianti lampeggi di giallo scritte pubblicitarie piogge di pixel mi perdo. Eugenia per esempio lei gli occhi non li chiude mai, neanche quando facciamo l’amore, non si perde neanche un fotogramma del ramo di iperbole descritto dall’atto carnale nel suo compiersi.
Allora ho provato a fare come il protagonista di quel film di cui non ricordo il titolo, quello dove il protagonista è un tizio che cerca di diventare qualcuno nella vita, seppur in maniera violenta, e alla fine ci riesce, e con l’approvazione del governo. Nel film il protagonista veniva costretto a restare con le palpebre spalancate tramite un complesso macchinario che, appunto, gli tiene meccanicamente divaricate le palpebre. Io non detengo tale macchinario, anche perché è un macchinario della fantasia,, ma chi può dirlo al centopercento, magari a Guantanamo ne detengono l’ultimo modello e lo stanno testando prima di lanciarlo sul mercato mondiale. Non detenendo appunto io tale macchinario, della fantasia o meno, ho fatto a mano, cioè mi sono costretto a tenere le palpebre spalancate bloccandole con pollici e indici, e ho aspettato. Intanto avevo piazzato davanti a me Eugenia e così ci guardavamo negli occhi ed ero deciso ad andare fino in fondo, a guardarci negli occhi per sempre. Solo che dopo un po’ ho sentito una specie di disagio, che poi si è trasformato in prurito fastidiosetto agli occhi, che poco dopo si è trasformato in fitte lancinanti, e alla fine non ne potevo proprio più e ho dovuto chiuderli, i miei cazzo di occhi. Allora ho capito che la realtà dopo un po’ che la fissi ti colpisce, non puoi guardare troppo a lungo negli occhi il mondo, davanti a tanta bellezza e/o orrore quattordicimila volte al giorno noi dobbiamo capitolare, per sopravvivere.

10 novembre 2008

Ascensione, messa in discussione, disattenzione

Entro nell’ascensore, mi giro verso l’uscita. Le porte stanno per chiudersi quando una donna che non ho mai visto prima si infila dentro all’ultimo momento.
- A che piano, signora?
- Quarto, grazie. Sì, esatto, il quarto piano. Anche lei abita al quarto piano. Solo che non ci siamo mai visti prima, già. Strano, vero? Proprio così. Com’è possibile? Statisticamente non è possibile. Allora forse a uno viene un dubbio. Non è che l’ho già incontrata prima? Magari non me lo ricordo... forse non dovremmo fidarci troppo della memoria, e fidarci di più di chi abbiamo di fronte, aprirci, prendere coscienza della nostra fragilità, mettere in discussione le nostre certezze, credere a quello che ci dicono gli altri, per una volta, no? Non le viene mai il dubbio?
- Ma sta parlando con me?
- E con chi, scusi? Chi altro c’è in questo maledetto ascensore?
- No, mi scusi, allora tolgo le cuffiette, sa la musica. Diceva?
- Io... no, lasci perdere, siamo al piano, arrivederci, la saluto.
- Ehi, un momento. Ora che la guardo bene...
- Sì? Sì? Mi guardi bene, coraggio.
- Ora che la guardo bene, lo sa che è buffo. Non solo non la conosco, ma non mi ricorda neanche nessuno, proprio.
- Lei è un mostro. Addio.
- Vuol dire: arrivederci!
- Mostroooo!

7 novembre 2008

Io so

Io so perché le api stanno scomparendo.
Si stanno suicidando.

6 novembre 2008

Cucù

Sai che c’è gente che si chiude in bagno a pregare?, mi ha detto Creativo n.2 stamattina. Ma dove, qui?, gli ho chiesto io, intendendo con “qui” la Clebbino. Certo, qui, e probabilmente in tutti gli uffici e i posti di lavoro del mondo, probabilmente anche nei cessi chimici dei cantieri, nei cessi dei tribunali, nei cessi delle scuole, negli autogrill, nei ministeri, nei cessi dei treni e degli aerei, negli spogliatoi delle palestre, anche nei camerini dei negozi. Ha detto così. Che ne sai, volevo chiedergli, ma ho avuto paura e non gliel’ho chiesto. Ascolta, dopo mi ha detto, stamattina sulla mia scrivania c’era un post-it marrone con su scritto “cucù”, sei stato tu? No, gli ho risposto. Allora lui si è avvicinato e mi ha sussurrato che secondo lui quella era la grafia di Creativo n.1. Io ho riso, spruzzando saliva. Non sto scherzando, ha insistito lui. Ma Creativo n.1 è morto, gli ho ricordato io. Proprio così, ha annuito lui, serio. Gli ho detto che secondo me erano stati quelli del Reparto Entropia, una delle tante tattiche per farci perdere tempo. Non me li nominare neanche, quegli stronzi, ha detto lui. A quel punto il discorso è finito sul Reparto Entropia, sul fatto che io ci avevo lavorato e non mi ero trovato così male. Lui mi ha raccontato che il Reparto Entropia è nato nel 1998, poco prima che la grande bolla del web facesse puf. Mi ha raccontato che il Reparto Entropia è un’idea di un misterioso ingegnere che faceva parte di Gladio. Gladio?, ho detto io. Gladio!, ha detto lui. E poi ha aggiunto: di che ti stupisci, guarda che dappertutto esiste un Reparto Entropia, solo che non lo sappiamo. Io ne avevo abbastanza dei deliri di Creativo n.2 e allora sono andato in bagno, ma era occupato. Ho accostato l’orecchio alla porta e ho sentito dei borbottii confusi provenire dall’interno, sono corso via.

4 novembre 2008

Il caos della retorica

Ieri tra una consegna e l’altra per RapidoPizza sono passato dal locale di Bilal. Che poi è uno stanzone con due tavoli di plastica da un lato e il banco dall’altro. Non c’era nessuno, tranne Bilal e le mosche. La radio era accesa su una stazione che mandava i grandi successi italiani.
– Dovresti mettere su musica araba, come fanno tutti i kebabbari – gli ho detto io.
– Io non sono arabo Jimmy Bandini, sono indiano. E non faccio kebab, faccio kebizza.
Complimenti per la vita da campione / insulti per l’errore di un rigore, cantava la radio.
– Lo so che sei indiano. Però mi spieghi come mai hai un nome tipo africano? Non mi dirai che Bilal è un nome indiano, adesso.
– Perché invece Jimmy è nome italiano, vero? Adesso tu spiega perché italiano può chiamarsi Jimmy o Thomas e mangiare giapponese e ascoltare musica reggae e io invece che sono indiano devo fare cucina indiana e ascoltare musica indiana.
– Ehi, a me il reggae mi fa schifo.
– Questo è razzismo, Bandini. Voi italiani pensate di essere multiculti e invece voi siete razzisti.
– Senti Bilal, uno vuole mangiare cose tipiche, capito. RapidoPizza fa la pizza. Il kebabbaro all’angolo fa il kebab. Tu fai un miscuglio che non si sa cos’è.
– Te lo dico io cos’è. Mio miscuglio è futuro, Bandini.
Anche se è perché solamente il caos della retorica confonde i gesti e le parole e le modifica, cantava la radio.
– Non mi sembra che stia venendo molta gente – l’ho punzecchiato.
– Questione di tempo, Bandini. Io fiducioso – ha detto Bilal, scacciando una mosca.
A me mi giravano un po’ le palle perché i soldi a Bilal per aprire il locale glieli ha prestati la mia fidanzata Armenia e Bilal stava facendo il tranquillo coi soldi degli altri.
– Ciao Bilal, vado a consegnare le pizze che se no si freddano.
– Quando poi ingrano perché non vieni a consegnare kebizza per me?
Col cazzo, ho pensato. Io devo aprire l’InsalatoGelateria, caro mio. Questo è il business del futuro.
– Perché no – ho risposto, schiacciando una mosca sul mio casco.