Mi suona il telefono, un numero sconosciuto. Rispondo, tirando a indovinare.
«Pronto, non mi serve nessuna cella elettrolitica per la produzione domestica di idrogeno, grazie, la saluto»
«Sono Ermete, aiutami, sono improvvisamente cieco!»
«Ermete? Ma lavori in un call center?»
«Che call center? Questo è il mio numero. Ho bisogno di aiuto Bandini, non ci vedo più un cazzo neanche dall’occhio buono.»
«Così di botto? Forse è saltata la corrente.»
«Sono le dieci di mattina, testadicazzo!»
«Ok arrivo subito.»
Mentre guidavo verso la Zona Deumanizzata mi sono ricordato che Ermete non aveva un telefono cellulare. E se fosse la solita truffa telefonica? Magari fatta con la intelligenza artificiale che imita la voce di Ermete per estorcermi del denaro? Però non mi aveva chiesto soldi. Magari adesso arrivavo a casa sua e c’era una intelligenza artificiale con le sue sembianze pronta ad aggredirmi fisicamente e a derubarmi per poi andarsi a comprare la droga stupefacente. Un’intelligenza artificiale tossica. Tutto può essere, al giorno d’oggi come oggi. Meglio stare sul chi vive, Bandini, mi sono detto (quando parlo con me stesso mi chiamo sempre per cognome, per una forma di rispetto). Arrivato sotto casa di Ermete, ho notato che oltre al citofono rotto, ora c’era il portone di casa sfondato, il che effettivamente rende superfluo il citofono. O forse sfondare la porta è un modo originale di riparare il citofono. Magari un elettricista creativo, uno che si fa aiutare da una qualche intelligenza artificiale applicata ai lavori elettrici. Ho fatto le scale di corsa, la porta dell’appartamento di Ermete era aperta.
«Ermete? Ci sei?» ho urlato, senza entrare.
L'ho visto spuntare carponi nel corridoio.
«Sono qui, sono cieco» ha detto.
«Che ci fai in terra?»
«Mi muovo così per non sbattere e cadere.»
«Sei sicuro di essere tu? Ti comporti in modo strano. E se fossi un bot? Un’intelligenza artificiale tossica e malvagia?»
«Aiutami, stronzo!»
«Come faccio a fidarmi? Come hai fatto a telefonarmi? Tu non hai un telefono.»
«Me lo ha regalato un barbone.»
«Come no.»
«E va bene, non me l’ha regalato, me l’ha dato in cambio di una bottiglia di vino del discount.»
«Sei un pezzo di merda.»
«Vaffanculo, e la bottiglia l’ho rubata a un altro barbone, vuoi prendermi a calci per questo? Sono cieco! Fai qualcosa! Accompagnami al pronto soccorso.»
«Prima devo assicurarmi che tu sia tu.» Ho raccolto un pezzo di carta dal pavimento. Ho estratto la penna che porto sempre con me nel caso qualcuno mi chiedesse di firmare a favore del suicidio assistito per i feti di quattro mesi condannati a morte.
«Che cosa stai facendo?» piagnucolava Ermete, muovendo le braccia nell’aria davanti a sé.
«Ti sto scrivendo un test captcha per vedere se sei un umano oppure no» gli ho risposto, mentre scrivevo lettere e numeri sgorbi sul foglietto di carta.
«Ma sono cieco, perdio, cieco! Come cazzo dovrei farlo il test?»
«Quante scuse del cazzo» ho detto, e stavo per urlargli contro. Poi mi sono accorto di una cosa.
«Aspetta un momento». Mi sono accovacciato vicino alla sua faccia. «Coglione, ti sei messo la benda sopra l’occhio buono». Ermete si è tastato la benda, l’ha sollevata.
«Ah già.» Si è messo a sedere in terra, ridacchiando.
Gli ho dato il foglietto.
«Ora fai il test.»
«Che cazzo sarebbero questi sgorbi?»
Era lui, era Ermete, in carne ossa e rottura di coglioni. Un’intelligenza artificiale ci avrebbe letto qualsiasi cosa.
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