23 giugno 2017

Il potere occulto del pop-up

E niente, qualche giorno fa volevo leggere un po’ di notizie e allora sono andato su un sito di news, e appena si è caricata la homepage è comparso anche un pop-up con la pubblicità dell’Audi A3, in cui si vedevano due Audi A3 di profilo, affiancate, e una scritta: vivi la sfida! Allora ho deciso di vivere la sfida, non potevo proprio resistere. E così ho cliccato sul pop-up e si è aperto il sito delle Audi dove si parlava di quanto le Audi fossero fiche e c’erano dei video che dimostravano la fichezza delle Audi. Io me lo sono letto un po’, c’erano articoli interessanti, per esempio un’intervista a un pilota cieco (“non vedente”, dice il sito) entrato 7 volte nel Guiness dei Primati (a proposito: lo sapete qual è la birra preferita dai gorilla? La Guinness dei primati!), un tizio che comunque io non vorrei mai come autista. E niente, poi in un’altra sezione del sito c’era scritto l’attitudine all’innovazione che da sempre anima la casa dei quattro anelli, e io ho capito subito che la casa dei quattro anelli non era una roba del Signore degli Anelli ma l’Audi, l’Audi stessa perché nel logo ha quattro anelli, tipo le Olimpiadi meno uno. Insomma non riuscivo più a smettere di leggere e alla fine c’era una scritta che diceva Per saperne di più sui modelli Audi CONTATTACI e io ho cliccato sopra CONTATTACI perché effettivamente a quel punto volevo saperne di più, come facevano a saperlo? mistero!, e così si è aperta un’altra pagina di un altro sito sempre delle auto Audi, dove c’era un form da compilare per avere informazioni su un modello specifico a piacere, e io come modello ho selezionato A3 (come il foglio A3, però è una macchina, no un foglio) e poi ho compilato tutte le voci del form inserendo tutti i dati e poi ho inviato la richiesta e dopo pochissimo tempo sono stato contattato telefonicamente dal Customer Care Audi Center e per farla breve, è andata a finire che l’ho comprata! Ho comprato un’Audi A3! E tutto partendo da un semplice pop-up!

No, scherzo, non è vero niente.
In realtà ho subito chiuso il pop-up senza quasi vedere di che si trattasse.

13 giugno 2017

Segmentare il mercato

Stamattina ero chiuso nel bagno aziendale che seduto sul cesso scrivevo livorosi commenti ad articoli online rigorosamente senza leggerli, per non intaccare la genuinità e la gratuità del mio livore, quando ho sentito un paio di persone entrare nell’antibagno. Da come parlavano ho capito subito che erano tutti e due del reparto marketing. Li riconosci subito perché hanno un tono di voce isterico e acuto, come se avessero inalato del gas esilarante.
– Ci hai mai fatto caso – diceva uno – che tutta la terminologia che usiamo è presa dalla guerra: strategia, tattica, target, pianificazione... mi piaceva di più quando il nostro obiettivo era il mass market, sparavamo nel mucchio sperando di beccare più gente possibile, mamme, single, vecchi, bambini, stranieri, professionisti, morti di fame, cani e porci, andava bene tutto, facevamo prodotti come bombe atomiche e li sganciavamo senza pietà per nessuno, una continua escalation, bei tempi... adesso è tutto cambiato, adesso è solo guerriglia, guerrilla marketing appunto... ci rompiamo il culo per individuare la nicchia, la nicchia della nicchia, prodotti come bombe intelligenti, non è più marketing è microchirurgia... roba di droni, roba sofisticata e quasi invisibile, rumore bianco.
– Eh – diceva quell’altro, e potevo sentire l‘acqua del lavandino scorrere, – eh – ripeteva.
– Adesso passo le mie giornate a segmentare il mercato – continuava il primo –, per età, condizione sociale, criteri psicologici, abitudini d’acquisto, intenzioni di spesa, orientamento politico, pattern culturali, religione, gusti sessuali, uso tutte le più sofisticate tecniche di profilatura, segmento per segmento, taglio il mercato a fettine sottili, quasi trasparenti, in gruppi sempre più piccoli, minuscoli, non sono più nicchie, sono gruppi di tre, quattro persone, e quando inizio a segmentare non riesco più a fermarmi, non ce la faccio, continuo a spezzettare fino a quando troverò il consumatore ideale, la singola persona per ogni singolo prodotto, e anche allora però chi mi dice che mi fermerò? Vorrei avercelo qui quel consumatore singolo perfetto, sotto le mie mani, per farlo in pezzi ancora più piccoli, vivisezionarlo con amore, separare gli organi interni, tagliuzzargli la materia grigia per capire che cazzo ha in quella testa, cosa vuole? Perché non compra tutto quello che voglio vendergli? Perché mi riattacca il telefono quando lo chiamo? Perché mi nega il consenso alle finalità commerciali? Strappargli tutte le unghie, recidergli gli ippocampi, lo sai che sono a forma di cavalluccio marino? Per quello si chiamano così. Invece quelli dei roditori sono a forma di banana.
– Eh.
– Mi sa che devo pisciare.
– Ma no, vuoi pisciare in questo cesso da sfigati? Torniamo al nostro reparto e pisciamo nel bagno delle femmine, che profuma sempre di gladiolo.
– Hai ragione. Qui c’è puzza di merda.
Li ho sentiti uscire e solo quando ho sentito la porta chiudersi mi sono accorto che stavo trattenendo il respiro. Ho ricominciato a respirare e le mani sulle ginocchia mi tremavano e per calmarmi ho dovuto leggere centinaia di volte la scritta a pennarello sulla porta davanti alla mia faccia che diceva:
al cor gentil un ratto s’apprende

7 giugno 2017

Soddisfazione di Ermete

Ero tornato a casa dopo una giornata di duro lavoro passata a sniffare cartucce esauste di toner nello sgabuzzino del reparto marketing e mi ero appena raggomitolato ai piedi del mio monticello di terra ammassato in un angolo di casa (sono un proprietario terriero, ho realizzato con soddisfazione), quando hanno suonato alla porta. Ho risposto al citofono ed era Fonzi Banana, l’ortolano del quartiere.
Ho socchiuso la porta di casa, senza aprirla del tutto, come si fa con i tizi che vengono a venderti l’invendibile.
– Fonzi?
Era proprio lui, nel suo giubbotto di pelle, anche nel caldo afoso di giugno.
– Eeeeeeeehi, Bandini.
Lo chiamano Fonzi perché porta sempre quello stupido giubbotto di pelle. E Banana perché, be’, vende la frutta.
– Fai consegne a domicilio adesso? Io comunque non ho –
– No, Bandini. Sono qua in veste di padrino di Ermete Dossi.
Padrino di Ermete? Padrino della cresima? Della comunione? Di battesimo, forse? Non sapevo che Ermete avesse ricevuto i sacramenti, e chi se ne fregava comunque? Non vedevo Ermete da una vita.
Ho fissato Fonzi e lui ha fissato me. A pensarci bene, avrebbero potuto chiamarlo Fonzi Lattuga, o Fonzi Ananas. Perché proprio Banana?
– Il duello, ricordi? Ermete ti ha sfidato a duello. E mi ha chiesto di fargli da padrino. Ed eccomi qua. Chi è il tuo padrino, Bandini? Debbo conferire con lui.
Il duello! E chi se ne ricordava più. Erano passati mesi. Ormai credevo che non se ne facesse più nulla, come di tutte le cose che riguardano Ermete.
– Fonzi, ma ancora questa storia del duello, andiamo. È passato un sacco di tempo.
– Il tempo è relativo, Bandini. L’ho letto su Focus. Ermete vuole soddisfazione. Chi è il tuo padrino? Debbo conferire con lui. Facciamo anche alla svelta che devo tornare in negozio, su, dài.
– Non ho nessun padrino, senti sono stanco, ho avuto una giornata di merda, anzi settimane di merda, mesi, di merda, e non è proprio il caso di –
– In tal caso dirò direttamente a te: il duello si svolgerà tra sette giorni all’alba, nel vecchio campetto abbandonato dei salesiani, nella Zona Deumanizzata. L’arma scelta per il duello è la fionda. Portati un padrino, e un testimone. Ci si vede là.
– Fionda?
Fonzi se n’è andato. Fionda, eh? Gliela faccio vedere io a quello sbruffone, ho pensato. Sono andato su ebay e ho comprato una fionda di precisione professionale potente per caccia pesca gioco sportiva, a 1 euro e 99, spedizione a 4,99 euro. Sette giorni dopo, all’alba, ho raggiunto la Zona Deumanizzata. Era un sacco di tempo che non ci andavo, c’erano cantieri, lavori in corso, cartelloni pubblicitari. Pochissimi licheni. Il campetto dei salesiani però era ancora abbandonato. Quando avevo tredici anni e non era ancora abbandonato ci avevo tirato un rigore contro la squadra avversaria dei ciellini, segnando. Vincemmo uno a zero.
Non c’era nessuno al campetto. Cominciai a tirare dei calci ai sassi. Dopo un po’ è arrivato un furgoncino Iveco che sembrava uscito dal cimitero delle macchine. Ne è spuntato fuori Fonzi Banana.
– Ciao, Bandini. Dov'è il tuo padrino?
– Vaffanculo al padrino, non ce l’ho.
– Tua madre non ti ha insegnato le buone maniere?
– Mia madre è morta.
– Prima di insegnartele?
– Adesso è un fungo.
– Chi?
– Mia madre.
– Ma certo. E mio padre è una banana.
Poi è arrivato un ragazzino, avrà avuto 13 anni. Puzzava da morire e gironzolava con aria strafottente. Fonzi mi ha riferito che era il testimone del duello. Si chiamava Jordi.
– Ciao Jordi – ho detto.
– Vaffanculo, devi morire – ha risposto lui.
– Quanto ci mette Ermete? Devo andare a ritirare al mercato ortofrutticolo, porcamadonna – è sbottato a un certo punto Fonzi. L’ho guardato con scherno: dov’era finito il suo aplomb fonzarellico? Io sentivo dentro di me una calma assoluta. Avrei potuto aspettare millenni in quel campetto che mi aveva visto trionfante.
Finalmente all’orizzonte, avvolto dalla corona di fuoco del sole, è apparso Ermete. Camminava strascicando i piedi. Era dimagrito, perfettamente rasato.
– Sono qua – ha detto, evitando il mio sguardo e fissando Fonzi.
– Alla buonora cazzo – ha detto Fonzi Banana, – avete le vostre fionde?
Io ho estratto dalla tasca posteriore la mia fionda di precisione professionale potente per caccia pesca gioco sportiva. Ermete ha tirato fuori un legnetto a Y con una fascetta elastica logora.
– Ti ricordi questo campetto, Bandini? È dove hai sbagliato quel rigore, tanti anni fa – ha detto Ermete, enfatico.
– Ma cosa. L’ho segnato, quel rigore.
– Il rigore l’hai sbagliato, coglione. E dopo hai fatto autogol. Avete perso 1 a 0 e per colpa tua i ciellini hanno conquistato il mondo.
Fonzi Banana ci ha invitati a stringerci la mano.
– Come sta Cinzia? – mi ha chiesto Ermete, sprezzante.
– Che cazzo ne so io? Non la vedo da una vita.
– Che oggi finisce.
– Eh?
– La vita. La tua. Oggi finisce.
Fonzi ci ha fatto disporre schiena contro schiena, quindi ci ha detto di fare dieci passi. Ho fatto dieci passi, mi sono girato. Ermete era ancora lì che contava i passi, incasinandosi coi numeri. Non vedevo l’ora di fiondargli via quella sua testa di cazzo incapace di stare al mondo. Quando si è voltato anche lui, inaspettatamente, mi ha fatto un sorriso.
– Allora, funziona così. Raccogliete un sasso a testa. Caricate le fionde. Al mio tre, lanciate. Buona fortuna – ha detto Fonzi, e dopo aver fatto tre passi indietro ha infilato le mani nelle tasche del giubbotto di pelle.
– San-gue! San-gue! San-gue! – ha cominciato a urlare Jordi, che si era seduto su un muretto poco distante.
Ermete si è piegato e ha raccolto un sasso, mettendoci un secolo a compiere l’operazione. Io ho fatto altrettanto, mettendoci un altro secolo – ma il tempo in fondo è relativo, come dice Fonzi Banana. Attaccato al mio sasso c’era un lichene.
– Caricate! – ha detto Fonzi. Abbiamo posizionato i sassi nelle fionde e teso gli elastici.
San-gue! San-gue! San-gue! San-gue! San-gue!
– Lanciate!
Ermete ha lasciato l’elastico. Il suo sasso ha compiuto una parabola altissima, passando sopra la mia testa di 5, 6 metri. Un vetro alle mie spalle è andato in frantumi.
– Merda – ha detto Fonzi Banana.
Allora ho lasciato anche io l’elastico. Il mio sasso lichenico è andato dritto a rimbalzare contro l’orbita dell’occhio sinistro del mio ex amico, che è caduto in ginocchio, urlando.
– Be’, io ho da fare. Vi saluto – ha detto Fonzi, è salito sul suo Iveco ed è partito. L’urlo di Ermete adesso era diventato una risata agghiacciante. Sono corso verso di lui. Si teneva una mano sull’occhio, e tra le dita gocciolava un rivolo di sangue. Si era steso sulla schiena e muoveva le gambe sbattendole in aria come uno che ride a crepapelle. E rideva davvero.
Attraverso la finestra sfondata dal sasso di Ermete qualcuno ha urlato: – Ho chiamato la polizia, balordi! Non la passate liscia!
Allora Jordi si è tirato su, ha scavalcato il muretto ed è corso via.
Ermete si è issato su a sedere.
– Come stai? – gli ho chiesto. Non avevo il coraggio di toccarlo.
– È stato grandioso – ha detto –, su, scappiamo!
Allora l’ho aiutato a tirarsi su e abbiamo cominciato a correre. Abbiamo corso per almeno dieci minuti, senza fermarci. Poi, esausti, ci siamo lasciati cadere su una specie di aiuola spartitraffico che non spartiva più nessun traffico.
Ansimavamo asincroni. Poi, a ritmo. Quando il respiro è tornato normale gli ho chiesto: perché la fionda?
Tenendosi la mano sull’occhio ferito, ha risposto: perché come li volevi lanciare, i sassi, a mano?
– Hai avuto soddisfazione, almeno?
Ha sorriso. Si è tolto la mano dalla faccia e sono sicuro di aver visto l’occhio tumefatto ammiccare.
– Tanta. Tantissima.