26 aprile 2019

Mio padre vuole essere buono

Sono andato da mio padre che voleva parlarmi.
Gesticolava tutto agitato, era come se avesse la febbre, mentre camminava avanti e indietro nel tinello. Io stavo seduto e con un occhio guardavo lui, con l’altro le notifiche sullo smartphone.
«Ho finalmente capito perché Babbo Natale quest’anno non è venuto. Così come l’anno scorso e tutti gli anni prima. Mi ero ormai convinto che non esistesse – che è quello che pensate tutti, non fare finta di no. È comodo pensare così, no? È sempre più facile dare la colpa agli altri, eh? E invece no. Qual è l’unica condizione che Babbo Natale pone, per portarti un regalo la notte di Natale?»
Numero 2 mi aveva condiviso un video di un elefante che si incula un ippopotamo, 400 milioni di visualizzazioni. Ho messo mi piace.
«Che ci sia un caminetto in casa e che l’allarme sia disattivato?» ho detto.
«Che tu sia buono! Ecco l’unica condizione. Che siamo buoni! Ma non solo la vigilia di Natale – bello sforzo! No, tutto l’anno! Essere buoni tutto l’anno! E chi è che è buono tutto l’anno?»
C’era una fotogallery di gente rimasta mutilata per aver fatto dei selfie mentre infilava ortaggi nel mixer.
«Gesù?»
Mio padre ha messo la sua faccia tra me e lo schermo dello smartphone.
«Gesù non esiste» ha detto, quasi nauseato. «Nessuno, è buono tutto l’anno. Ecco perché non si è mai fatto vivo, Babbo Natale. E ora dimmi: qual è la vera leggenda? L’esistenza di Babbo Natale, o la bontà del genere umano?»
Perché mio padre mi parlava di Babbo Natale? Siamo ad aprile, quasi maggio. Mi veniva voglia di abbracciarlo fino a stritolarlo.
«Ma ecco che cosa farò. Sarò buono. Sarò buono ogni giorno, da qui fino alla notte di Natale. Sarò buono con tutti: con Svetlana, con i vicini di casa, con il fruttivendolo, con il ferramenta, con i bambini che giocano a pallone contro la serranda del garage, con i terrapiattisti, con i no-vax, con i punkabbestia, con gli impiegati delle poste, con i call center, con chi non fa la raccolta differenziata, con chi dice “carissimo!”, con chi dice “tutto ok?”, con chi dice “che mi racconti?”, con chi suona il clacson, con chi distribuisce volantini, persino con te».
«Esagerato. Sai come li chiamano quelli così?»
Tutti mi condividevano qualcosa. Tutti avevano bisogno della mia approvazione. Calma ragazzi, calma! Uno alla volta! Dedicherò qualche secondo del mio tempo a tutti voi. Ero così importante per tutti, e senza aver fatto un cazzo! La tecnologia contemporanea è fantastica.
«Buonisti, li chiamano.»
Mio padre allora s’è fermato al centro della stanza, incredulo.
«Buonisti» ha ripetuto.
«Buonisti, sì».
«Buonisti» era incredulo. «Allora esistono. Non sono solo! I buonisti! Sarò buonista! Sì! Più ancora che buono. Buonista. Buonistissimo. Anche tu!»
«Io che?»
«Devi smetterla di essere uno stronzo qualsiasi. Diventa buono! Buonificati!»
Non sapevo come dirgli che non era un complimento. Non volevo ferire i suoi sentimenti. Sono tornato a casa fischiettando, di buonumore. Mille notifiche sullo smartphone, mille persone che volevano disperatamente piacermi.