18 dicembre 2009

Non ci vivrei

Io viaggio molto poco perché ho scoperto che siccome tutto e tutti si muovono forsennatamente, se io sto fermo le cose arrivano da me, perciò è come se viaggiassi, ma stando fermo. Se no se viaggiassi anche io insieme a tutti gli altri alla fine sarei sempre in mezzo ai soliti e alle cose di sempre che viaggiano con me, e quindi sarebbe come stare fermo. Ma non era questo che volevo dire.
Ogni tanto qualcuno torna da qualche viaggio e dice di essere stato a Parigi o New York o San Pietroburgo o Venezia o Trieste o Barcellona o Lisbona o Kuala Lumpur, insomma in una città. A questo punto c'è sempre qualcun altro (non io, io mai nella vita) che chiede: ah, e com'è? Intendendo la città. E quasi sempre la risposta è:
- Bella, ma non ci vivrei.
È bella, ma lui non ci vivrebbe.
Cioè, mai nessuno che una volta risponda "Fa schifo, ma vorrei tanto viverci". No, tutti a dire "è bella, ma non ci vivrei". E infatti, non ci vivi. Infatti, vivi qui. Lì ci sei solo andato in vacanza, o in viaggio. Ci sei andato per qualche giorno, e poi basta. Allora che me lo dici a fare? Ti ho forse chiesto (non io, io non lo chiedo mai, mi sto immedesimando nel personaggio), ti ho forse chiesto se ci vivresti? Non ti ho chiesto se ci vivresti, ti ho chiesto com'è. Non è che se rispondi solo che è bella io penso subito "ah, ecco dove vorrebbe vivere costui", no, non lo penso. Come se poi tu qua invece ci vivessi perché è bello, ma per favore. Tu qua ci vivi perché ci lavori o ci sei nato o ci hai messo su famiglia, magari poi ti piace anche come posto, ma non sarà solo per quello che ci vivi.
- Bella, ma non ci vivrei.
Avete capito cittadini di quella bella città? Lui non ci vivrebbe, nella vostra città. Vi state strappando i capelli, vero? Vi state suicidando dalla disperazione, non è così? Avete perso un potenziale cittadino, lo so, è dura da mandare giù.
Non so, uno potrebbe rispondere, ogni tanto: "Rumorosa, ma non ci mangerei" o "Antica, ma non ci dormirei", "Priva di barriere architettoniche, ma non ci passeggerei".
- Bella, ma non ci vivrei.
Che è un po' dire che tutti quelli che invece ci vivono sono dei coglioni.
A me certe cose, mi mandano fuori di testa.

1 dicembre 2009

Un goccetto con Ermete

Sono andato nella Zona Deumanizzata a trovare Ermete. Indossava un giubbotto di jeans e sotto una specie di gilet fatto con le buste della spesa e stava raccogliendo lumache nel cortile dietro al condominio diroccato dove vive.
– Ah sei tu. Sei venuto a farmi gli auguri di Pasqua?
– Veramente tra un po' è Natale.
– Natale? Pensa tu.
– Che ci fai con le lumache, le mangi?
Mi ha guardato di traverso e ha cominciato a ridere, si stava sbellicando.
– Fa così tanto ridere?
Ha fatto un gesto con la mano mentre rideva, come per dire "altroché".
– Ma dicevo sul serio, non era una battuta.
– Ah. Pensavo. No, comunque no, non le mangio, me le faccio strisciare addosso la sera prima di addormentarmi, mi rilassa.
Dopo siamo entrati in casa, faceva un freddo tremendo. Lui si è tolto il giubbotto di jeans, restando in buste di plastica.
– Bevi qualcosa? – mi ha chiesto Ermete.
– Volentieri.
– Che ti dò?
– Quello che hai.
Si è alzato ed è andato in cucina, l'ho sentito rovistare. Poi è tornato con due bicchierini di plastica con dentro un amaro verdognolo.
– Salute – ha detto.
Abbiamo bevuto. Sapeva di collutorio.
– Com'è? – ha chiesto Ermete.
– Insomma. Sa di collutorio.
È collutorio.
– Ah. In tal caso, niente male.
Poi siamo stati zitti. Si sentiva solo un sibilo, era il respiro di Ermete. Come una nota di violino tenue tenue, quando espirava. Io ero tranquillo perché sapevo che mai Ermete mi avrebbe detto "Allora, che mi racconti?" o qualcosa del genere, no, lui sarebbe stato zitto, e infatti stava zitto, e suonava il violino con il respiro, piano. Anche se faceva freddo mi sono un po' assopito.