21 ottobre 2010

Una nuova pizza

Volevo farlo da giorni e alla fine l'ho fatto. Ieri sera dopo l'ennesima consegna di pizze sono andato da Lacazza, era davanti al forno e stava schiaffeggiando in aria la pasta della pizza, facendola ruotare e planare. Sono rimasto lì a fissarlo finché lui, senza guardarmi, ha detto "Cazzo vuoi, Bandini".
– Com'era il film? – gli ho chiesto allora.
– Che film – ha mugugnato, continuando a tenere gli occhi ficcati nella pizza.
– Quello dell'altra sera, al multisala.
– Io non vado mai al cinema, pustola, casomai vado allo stadio.
– Eddài Lacazza, basta con le stronzate, non capisco perché devi far finta di niente, sei ridicolo, e guarda come la stai martoriando, quella pizza.
– Punto primo Bandini: di quali stronzate stai parlando, stronzo? Punto secondo: chi è che è ridicolo? Punto terzo: è una pizza San Sebastiano, il martirio è la sua essenza.
– Non abbiamo mai avuto una pizza San Sebastiano.
– Da oggi ce l'abbiamo! L'ho appena creata! Di' a Gina di farla aggiungere sul menù! Forza, smàmmare, andare!
– Qual è il problema? Guarda che a me non mi frega se sei gay. Ti ho chiesto niente del tizio con cui ti tenevi per mano? Ti ho chiesto com'era il film, punto.
La pizza San Sebastiano cadendo in terra ha fatto plonnnnf! Lacazza era diventato blu. In un attimo ha scavalcato il bancone e mi ha agguantato il collo con le sue mani impastose: – Chi è che è gay? Chi è che è gay? Vedi bene di stare attento a quello che dici frocetto, mi sa che ti sei sbagliato con qualcun altro, a Lacazza piace la fica, la fregna, è chiaro? Sia ben chiaro. Vedi di comprarti un paio di occhiali perciò, o di pensare tre volte prima di aprire la bocca della verità – ha sibilato, strozzandomi.
– Mgrgrgrg – ho detto io. Lacazza mi ha lasciato il collo. Negli occhi mi sono esplose tante piccole bolle grigie.
– Tu sei pazzo. Tu hai dei problemi. Tu
– Era la storia di uno che nella vita lotta per diventare qualcuno, e alla fine mi sono addormentato va bene? – ha urlato Lacazza, poi si è piegato per raccogliere la San Sebastiano da terra e si è rimesso a schiaffeggiarla.
Lo sapevo che il suo film era meglio del mio. E comunque, io lo lascio questo lavoro di merda.

19 ottobre 2010

La Fine della Rivincita

Il capo ha chiamato in riunione tutto il Reparto Creazione.
– Ho una notizia cattiva. Quale volete sentire prima? – ha detto.
Era una domanda difficile, probabilmente a trabocchetto. Nessuno ha osato rispondere.
– Si tratta del Giorno della Rivincita – ha detto il capo.
– Che è domani, se non sbaglio – ha detto con arguzia Creativo n.2.
– Non sarà né domani, né mai più. La Direzione ha deciso così.
– Che cosa? E io adesso con chi me la prendo? Devo riprendere a picchiare i miei figli? – è esploso Creativo n.4.
– Tu hai figli? Da quando? – è sbottato il capo.
– Come? No, no! Ahaha. Figli. Ah. Ho detto "figli"? Volevo dire "tigli". Dovrò riprendere a picchiare i miei tigli, in giardino.
Il capo ha fissato per dieci secondi Creativo n.4, nel silenzio più assoluto.
– Ma quindi non possiamo più vendicarci sul Reparto Entropia? È ingiusto! Scommetto che c'è lo zampino dei sindacati – ha mugugnato Creativo n.2.
– Niente più Reparto Entropia – ha detto il capo, chiudendo la mano a pugno e riaprendola, mostrando così il nulla –. Ecco la grande trovata della dirigenza. Niente più Reparto Entropia, niente più sabotaggi e scherzi, niente più bisogno del Giorno della Rivincita. La Clebbino sta per entrare in una nuova fase, più dinamica, più snella. Per voi, per noi, per tutti, si aprono nuove straordinarie opportunità. Abbiamo davvero bisogno del Reparto Entropia? La risposta è: no! Non abbiamo bisogno di essere incentivati da terzi! Non abbiamo bisogno che ci sia qualcun altro a rallentarci, bloccarci, sabotarci. Possiamo farlo da noi! Siamo liberi! Liberi di liberare le nostre potenzialità! Fare, disfare, rifare, mille volte, liberamente, autonomamente, senza intrusioni, incomprensioni. Che grande conquista! Che libertà! Ricordatevi di quello che diceva Archimede: "Datemi un bastone tra le ruote e vi solleverò il mondo".
Un silenzio psicotico ha aleggiato nella Sala Incubatrice.
– Che ne sarà del Reparto Entropia? – ho chiesto io.
– Tutte le Penelopi del Reparto Entropia, caro n.5, vedranno realizzato il loro Grande Sogno. Avranno anche loro, come già altri reparti della nostra gloriosa azienda, accesso alla Cassa Ibernazione a tempo indeterminato. Oh, fortunati! oh, Eletti! Le Penelopi hanno alfine trovato i loro Ulissi! – ha detto il capo quasi cantando, le dita intrecciate.
Siamo usciti dalla Sala Ricreazione, storditi.
– Che fregatura, mi sento pieno di rancore e rabbia inespressa, mi ammalerò – ha ringhiato n.4.
– Sfogati piacchiando la babysitter – ha detto n.3.
– Che babysitter? – ha chiesto n.4, sulla difensiva.
– Quella dei tuoi tigli, no?
Io, non ci capivo più niente. Babysitter dei tigli? Adesso anche i giardinieri hanno cambiato nome. La gente è matta.

14 ottobre 2010

Effetto multisala

L'altra sera sono andato al cinema con Armenia a vedere un film di cui non ricordo il titolo, con quell'attore di cui non ricordo il nome, un'esperienza indimenticabile come sempre. Il cinema era un multisala, noi eravamo nella sala 5, questo me lo ricordo. Ogni tanto nel nostro film c'erano delle scene di silenzio e allora durante queste scene di silenzio si sentivano pezzi sonori del film della sala contigua, la 4, si sentivano esplosioni, urla, e anche un po' di colonna sonora trionfale. Il che a me faceva venire voglia di alzarmi, uscire dalla sala 5 e andare a vedere che cosa stesse accadendo nel film della sala 4. Io non capisco come mai i multisala non sfruttino fino in fondo la loro natura multisalica, per esempio agli spettatori all'ingresso dovrebbero essere dati dei telecomandi, in modo tale che se il film che danno nella sala 5 è noioso, io possa fare un po' di zapping e vedere che cosa c'è di bello nella sala 1, oppure nella sala 2, oppure nella sala 3, oppure nella sala 4, oppure nella sala 6, oppure nella sala 7, e qui mi fermo perché era un multisala con 7 sale, ma ci siamo capiti. Certo poi potrebbero esserci dei problemi, se tutti gli spettatori avessero il telecomando sarebbe uno zapping perenne e non si riuscirebbe a seguire niente, allora forse potrebbero dare il telecomando al primo che entra, che diventerebbe di diritto il detentore del telecomando. Altrimenti che senso ha fare il multisala, sarebbe come comprare una casa con 12 stanze e poi vivere sempre e solo in cucina, come fosse un monolocale.
Alla fine del film siamo usciti ed è successa una cosa, ed è questo quello che in verità volevo raccontare, io e Armenia mano nella mano siamo usciti dalla sala 5 e contemporaneamente dalla sala 4 è uscito Lacazza, il pizzaiolo di RapidoPizza, mano nella mano con un altro uomo. Io non ho fatto subito due più due, anche perché fare le operazioni mi fa venire il malditesta, ho chiamato Lacazza perché volevo chiedergli com'era il suo film, "Lacazza!" ho chiamato forte.
Lui, si è girato e ha lasciato la mano dell'altro uomo, non so se in questo ordine, forse contemporaneamente. Solo in quel momento ho fatto due più due, quando ho visto la mano di Lacazza lasciare la mano dello sconosciuto, e quando mi sono accorto che faceva cinque, ho avuto come un brivido.
Invece di fermarsi, Lacazza ha accelerato il passo, allontanandosi, le mani in tasca, e quell'altro pure. Allora pure io ho accelerato il passo, perché forse non mi aveva visto o sentito o riconosciuto.
– Lacazza! Ehi Lacazza sono Jimmy Bandini! – urlavo nell'atrio del multisala, e tutti si voltavano tranne lui. Alla fine l'ho raggiunto, gli ho messo una mano sulla spalla per farlo voltare, – Lacazza sono io! – gli ho detto.
– Non la conosco – ha detto Lacazza, cercando di svicolare.
– Ma che dici – ho insistito io.
– Mi ha scambiato con qualcun altro, mi lasci stare – diceva, tirando su il bavero della giacca.
– Ma sei impazzito? Mi prendi per il culo?
– Non so di cosa sta parlando – ha mugugnato ed è schizzato via, seguito un po' a distanza dall'altro tizio.
– Lacazza è omosessuale – ha detto Armenia, quando mi ha raggiunto.
– Ma che dici – ho detto io.
– Si tenevano per mano, come noi, Jimmy.
– Ma noi mica siamo omosessuali – ho detto io.
– L'hai messo in imbarazzo.
– Volevo solo chiedergli com'era il suo film.
Il nostro film era la storia di uno che nella vita lotta per diventare qualcuno, senza molto brio, e alla fine comunque ci riesce.

7 ottobre 2010

Rumore di fondo

Stamattina hanno suonato al campanello. Ermete Dossi si è chiuso nell'armadio. Domenico stava facendo un po' di esercizio dentro la centrifuga per insalata, correva come un criceto qualunque, per tenersi in forma. Betsabea era ancora a letto. Casa mia comincia ad essere un po' troppo popolata. Sono andato ad aprire, era il vicino, quello che credevo fosse morto.
– Mi scusi se la disturbo, Bandini.
– Ah è lei, pensavo che fosse morto.
Il vicino ha fatto un passo indietro e mi ha squadrato, credo che volesse esprimere una qualche forma di indignazione, ma a me è sembrato solo un goffo passo di breakdance.
– Senta – ha ripreso a dire – sono giorni che dal mio appartamento sento la sua tv. Ma lei non la spegne mai? Non può almeno abbassare il volume?
– Veramente credevo che fosse lei, ad avere la televisione accesa. Ecco perché credevo che fosse morto. Per almeno tre giorni la tv accesa, ininterrottamente, lei capisce, la immaginavo morta con il telecomando in mano, riverso sulla poltrona, in avanzato stato di decomposizione.
– Io neanche ce l'ho la televisione! – ha urlato il vicino, che a questo punto si era un po' alterato, non capisco perché, – pperciò se può farmi il favore di almeno abbassare il volume, della sua tv, grazie e arrivederci – e se n'è andato.
Ho chiuso la porta, e che mi venisse un colpo. Aveva ragione. C'era la tv accesa a un volume piuttosto alto, e non veniva attraverso i muri da un altro appartamento, ma veniva da casa mia, era la tv di casa mia, accesa da tre giorni. Ermete è uscito dall'armadio.
– Chi era? La C.I.A.? – ha detto, sussurrando.
– Da quant'è che è accesa la tv in casa?
– Che ne so. Ieri quando sono arrivato era già accesa.
– E perché non hai detto niente?
– Che ne so. Pensavo che tu fossi abituato così.
Ho staccato la spina della tv e un silenzio lugubre, denso, soffocante ha invaso la stanza.
– Gesù cristo – ha detto Ermete dopo qualche secondo – riaccendila subito.

6 ottobre 2010

Fino a che non si calmeranno le acque

Ermete Dossi si è presentato a casa mia.
– Che ci fai qua? – gli ho detto. Ultimamente è fisicamente instabile, nel senso che non è più stabilmente localizzato in un solo luogo fisico, la Zona Deumanizzata. Questo mi inquieta, sento odore di oscuri presagi, sempre che questa frase abbia un senso, ma anche se non ce l'ha. Aveva con sé un sacco di iuta con dentro un paio di jeans, un maglione sdrucito e un po' di biancheria. La iuta è bella.
– È solo per un po', finché non si calmano le acque – ha detto. Ultimamente ha visto un po' troppa gente nella Zona Deumanizzata, il che non è evidentemente un buon segnale, probabilmente stanno cercando lui, sono quelli dei servizi segreti, dice, probabilmente hanno visto la puntata di Criminali Buffi che lo ha visto come protagonista.
– Sei pazzo, non puoi stare qua – gli ho detto.
– Solo per un po'. Che cos'è quella? – ha chiesto indicando il cumulo di terra ammonticchiato contro la parete.
– Terra. Ne vuoi un sacchetto?
– No. Che cos'è quello? – ha chiesto indicando Domenico, che lo occhieggiava dal suo angolo preferito del soffitto.
– Quello è un geco, è Domenico, mio figlio.
Ermete ha fatto tanto d'occhi.
– Chi è la madre?
– Eugenia.
– Vuoi dire lei? – ha chiesto indicando Betsabea, che era seduta sul divano e da quando Ermete era entrato in casa non aveva smesso di fissarlo.
– No – ho detto, un po' infastidito – lei è Betsabea.
– Ma è identica a Eugenia. Me la ricordo benissimo Eugenia.
– Con Eugenia è finita.
– Ah. E, ehm, lui – ha detto, indicando Domenico – ne ha sofferto?
– Certo. Anche i gechi soffrono – ho risposto, un po' scocciato. Questo interrogatorio da parte di Ermete mi stava innervosendo.
– Senti, e come, come ha fatto a nascere da Eugenia, Domenico?
– Devo spiegarti il grande mistero della nascita?
– Magari, sì.
– È un mistero, lo dice la parola stessa.
Siamo stati zitti. Betsabea non diceva una parola. Domenico non muoveva un muscolo. Si sentiva la televisione, anche se era spenta. Non era la mia, era la televisione del vicino, penso, si sentiva attraverso i muri.
– Quanto pensi di fermarti? – ho chiesto di nuovo.
– Te l'ho detto, fino a che non si calmeranno le acque.
Adesso che ci penso, la televisione del vicino si sentiva ininterrottamente da tre giorni. Anche adesso che scrivo si sente. Forse il vicino è morto.
– Assomiglia alla madre – ha detto Ermete, indicando Domenico.