31 ottobre 2013

Essa

Stamattina ero in ufficio che dovevo stampare un pdf su cui era scritto di non stampare quel documento per non uccidere la foresta amazzonica, ma non ci sono riuscito. A stamparlo, dico. Allora ho chiamato l'ufficio ICT.
– Ufficio ICT.
– Sono Bandini.
– ...
– Creativo numero 5.
– Ah.
– Ho un problema con la stampante. Credo che sia il collegamento.
– Ecco bravo, credi. Devi credere. E pregare.
– Che cosa? Senti, devo stampare un documento.
– Per quale cazzo di motivo?
– Come sarebbe? Per motivi di lavoro, ecco perché.
– Non è che invece vuoi distruggere la foresta amazzonica?
– Mi mandate qualcuno o devo venire lì?
– Non ci provare, amico. Non provarci nemmeno. Nessuno che non sia del nostro ufficio può mettere piede qua dentro. Resta. Dove. Sei. Ti mandiamo qualcuno a minuti, ok? Non chiamare più. Non mandarci mail. E soprattutto, cristo santo, non provare neanche a pensare di venire tu da noi.
– Ottimo. Aspetto.
– Ecco, bravo.
Sono passati dieci minuti. Poi altri dieci. Io nel frattempo pensavo alla foresta amazzonica. Se chiudevo gli occhi potevo vederla chiaramente trattenere il fiato, pregare che il tecnico non arrivasse, che io non stampassi mai e poi mai il documento che l’avrebbe uccisa in un colpo solo, nel momento stesso in cui sarebbe uscito dal ventre della macchina ancora caldo d’inchiostro. In tutta la foresta amazzonica un silenzio tombale d’attesa spasmodica, non un verso di scimmia o di tucano, non un ronzio di insetto, non una foglia cadente. La cosa cominciava a piacermi.
Un tizio si è affacciato nel mio ufficio.
– Sei tu che hai chiamato per la stampante?
– Alla buon’ora.
Si muoveva furtivo e silenzioso, guardandosi attorno, quasi strisciando contro le pareti.
– Come dicevo al telefono, dev’essere un problema di collegamento perché –
– Dov’è?
Parlava quasi sussurrando.
– Dov’è chi?
Essa. Dov’è.
– Essa? La stampante vuoi dire? In corridoio, qua fuori.
Il tecnico ha deglutito, annuendo.
– Ho lanciato la stampa ma non è successo niente, forse non sono più collegato alla stampante, però non è apparsa nessuna finestra, non capisco.
– Non dipende da te. Non sei tu che puoi collegarti. È essa che si collega a te.
– Eh?
– Non decidi tu, chiaro? Essa decide se collegarsi o meno a te. Essa decide se stampare o no. Se non sei riuscito a stampare, vuol dire che essa non aveva bisogno di quella stampa. Se essa ne avesse avuto bisogno, si sarebbe collegata a te, ti avrebbe inviato un impulso elettromagnetico al cervello equivalente al comando "Stampa", e tu allora avresti eseguito, avresti aperto il file richiesto e avresti cliccato su Stampa. Se non sei riuscito a stampare è perché essa non ti ha mandato nessun comando di stampa, probabilmente si è trattato solo di un’interferenza del tuo cervello.
– Ma che cazzo –
– Ancora non hai capito vero? Loro governano il mondo. Sono loro le vere intelligenze artificiali, altro che i pc o i robot o HAL 9000. Loro sono la porta, il gate tra mondo virtuale e mondo reale, e controllano l’uno e l’altro. Stampano quello che vogliono stampare, si inceppano per non stampare quello che non vogliono stampare, controllano i nostri conti in banca, le nostre carte di credito, decidono il formato e i colori di qualunque cosa, e ormai – che Dio ci aiuti! – stampano in 3d! Plasmano oggetti tridimensionali! Creano la realtà! Decideranno loro che cosa dovrà esistere e cosa no! Ci tengono per le palle!
– Le stampanti fanno questo?
Il tecnico ha avvicinato la sua faccia alla mia. Il suo fiato odorava di naftalina.
– Dobbiamo distruggerle – ha sussurrato, fissandomi con occhi sbarrati, – tutte quante.
Camminando a ritroso, rasentando le pareti, il tecnico è uscito dal mio ufficio. Io ho chiuso gli occhi, e ho sentito la foresta amazzonica tirare un sospiro di sollievo, i tucani ricominciare a tucanare, le scimmie a scimmiare, e tutto quanto. Mi sono alzato, sono andato alla porta dell’ufficio, ho aperto piano, pianissimo. Mi sono affacciato in corridoio. Essa era là, nella penombra. Enorme, tetragona, con lucine lampeggianti. Faceva uno strano fruscìo; no, era più uno scatarrìo; neanche, era più un ghigno. Sì, un ghigno.

22 ottobre 2013

Un cerchio che si chiude

Finalmente mi è stato consegnato il pacco contenente Dolly. Dolly è il nome che ho dato alla mia pecora gonfiabile scopabile acquistata su Internet. Ho scelto questo nome in onore del primo mammifero clonato della storia, che era appunto una pecora e si chiamava uguale. Su Wikipedia ho letto che Dolly, la pecora clonata, essendosi ammalata di cancro ai polmoni, venne eutanasizzata il giorno di San Valentino del 2003. Mentre scopavo la mia Dolly, pensavo alla Dolly clonata, uccisa nel giorno degli innamorati all’età di 6 anni (o di 12, se contate il fatto che le pecore da cui fu clonata avevano 6 anni, per cui in un certo senso Dolly nacque che aveva già 6 anni, era già una pecora matura, praticamente). Sei anni tediosi vissuti in un laboratorio, tranne i pochi momenti di gioia trascorsi con un montone gallese, col quale venne fatta accoppiare e dal quale ebbe sei agnellini: Bonnie, Sally, Rosie, Lucy, Darcy e Cotton. Oh Dolly! Dolly, piccola puttanella clonata, te la sei spassata con il montone gallese, lì, sotto agli occhi famelici degli scienziati clonatori! Esibizionista, spudorata, scostumata Dolly! Sono venuto quasi subito nella fica vinilica di Dolly, made in Taiwan, e mi sono accasciato sul suo vello in pura lana vergine, che odora, di che odora? Lì per lì mi è sembrato un odore come di laboratorio di biotecnologie, ma probabilmente era solo suggestione. Sempre Wikipedia dice che il nome di Dolly la pecora clonata viene da Dolly Parton, la cantante country siliconata, e mentre passavo le dita tra i riccioli lanosi della mia Dolly ho pensato che era giusto così, che era un cerchio che si chiude, il silicone, il country, la campagna, i riccioli biondi, il Tennessee, la scozia, il laboratorio, il successo, la clonazione, e, cosa più importante di tutte, la fregna. Dolly la pecora clonata, dopo morta è stata tassidermizzata e ora è esposta al Royal Museum of Scotland; e chissà se anche Dolly Parton, quando morirà, verrà imbalsamata come la sua omonima, mi chiedevo mentre mi sciacquavo il cazzo. Non sono certamente fatti miei, quello che conta è che non sono più solo, non sono più un pastore errante dell’Asia, perché ho finalmente trovato anch’io la mia pecora, oh Dolly, oh fuoco dei miei lombi, oh fire of my lambs.

12 ottobre 2013

Il nulla

Siccome non mi hanno ancora consegnato la mia nuova pecora gonfiabile scopabile e di guardare l’effetto neve nella mia vecchia tv analogica non ne posso più e voglio invece vedere quel talkshow di cui mi tanto bene mi ha parlato Creativo n.2, sono andato da Mediaworld per comprare una nuova tv. Ho attraversato il reparto cellulari e smartphone, dov’era pieno di gente che accarezzava gli schermi degli smartphone di ultima generazione, e sono andato al reparto tv, dove c'erano queste tv sottilissime ed enormi dotate della nuova tecnologia 3D. Solo che io non voglio una tv in 3D, voglio che le immagini della tv se ne stiano ben confinate e appiattite entro i confini dello schermo, no che escano fuori. Fuori c'è già la realtà che è in 3D, e io non capisco, dopo tutta questa fatica, dopo generazioni di tecnici che hanno lavorato per inventare la tv che altro non è che un dispositivo per togliere una dimensione alla realtà e imprigionarla in uno schermo, addomesticandola, ecco che se ne esce fuori una nuova generazione di geni che realizza una tv in 3D, vanificando tutto il lavoro fatto finora. Io non voglio una tv in 3D, piuttosto vorrei una tv touchscreen, ecco, questa sì che sarebbe innovazione, futuro e modernità: poter interagire con le immagini toccando lo schermo, poter schiacciare la testa di fazio fabio o toccare il culo di quella soubrette lì di cui non mi ricordo il nome, quella che conduce quel programma esuberante. Allora ho chiesto al commesso se per caso avevano una tv touchscreen e lui mi ha detto di no, mi ha detto però che avevano un sacco di belle tv in 3D, al che io gli ho risposto “Ah sì?” e sono andato via. Sono ripassato nel reparto telefonia dove era tutto un tocca-tocca questo schermino e tocca-tocca quest’altro, e poi mi sono avviato alle casse, sconfitto, e sono uscito dall’uscita di chi non acquista niente, l’uscita dei perdenti, e quando sono passato tra i sensori anti-taccheggio è scattato l’allarme. L’addetto alla sicurezza mi ha subito placcato per le spalle.
– Dev’essere per le chiavi – ho detto subito, e mi sono infilato le mani in tasca per prenderle.
– Che chiavi – ha chiesto l’addetto, tenendomi ben stretto l’omero, come una fidanzata gelosa.
– Le chiavi, ho le chiavi di casa in tasca, dev’essere per quello che è suonato.
– Guardi che questo è un supermercato, non il check-in di un aeroporto. Avanti, vuoti le tasche, mi faccia vedere.
– Ecco, queste sono le chiavi, vede? Che le dicevo? Ho dimenticato di toglierle prima di...
– Non mi interessano le tue chiavi del cazzo! Tu hai preso qualcosa senza pagarla. Le tasche.
– Siamo già passati al tu?
– E tra poco passiamo all’io, se non tiri fuori quello che hai rubato.
– All’io? Quale io?
– L’io puro fichtiano, balordo. E da lì, passare al non-io è un attimo. Ti avverto: studio filosofia all’università serale.
Alla fine mi ha perquisito, senza trovare niente.
– Che le dicevo? Non ho preso nulla.
– Nulla! Dice nulla, lui, come se fosse una cosa qualsiasi. Di che nulla parli, balordo? Logico o ontologico?
Mi sono rimesso le tasche in tasca e me ne sono andato senza rispondergli, mentre l’addetto mi urlava dietro: vi tengo d’occhio, a voi sofisti! Non la farete franca!

6 ottobre 2013

Buon compleanno Creativo n.2!

Creativo n.2 mi ha invitato alla festa per il suo compleanno a casa sua. “Tipo scuola media?” gli ho chiesto. Mi ha guardato storto: “Media? Come ti permetti? La mia scuola era eccellente, no media”. Non sapevo cosa regalargli, gli ho comprato un portachiavi USB (alla commessa del negozio di elettronica veramente avevo chiesto un porta-chiaviUSB, invece lei mi ha dato un portachiavi-USB, sinceramente non vedo l’utilità di un portachiavi con integrato un cavetto USB, ma se l’hanno inventato si vede che ce n’era bisogno). Il giorno della festa sono andato a casa sua, ho suonato il campanello. Non ero mai stato a casa di n.2. Non ero mai stato a casa di nessun collega del Reparto Creazione, ora che ci penso. Non ci siamo mai frequentati fuori dalla Clebbino, in effetti. Per cui mi faceva piacere come cosa, incontrare i miei colleghi in occasioni extralavorative. N.2 ha risposto al citofono e mi ha detto di salire. Sono salito. A casa sua non c’era nessuno.
– Gli altri devono ancora arrivare? – ho chiesto.
– Oh, no. Non deve arrivare nessun altro. Siamo solo io e te, n.5.
E mi ha spiegato che gli era venuta questa idea geniale, super creativa: invece di fare un’unica festa con tutti gli invitati contemporaneamente, fare tante piccole feste a tu per tu, una per ogni invitato. “Così si ha modo di chiacchierare, di conoscersi meglio. Inoltre, la festa tradizionale è così B2C, mentre una festa di questo tipo è molto più B2B, non trovi?”. Io ho annuito, un po’ a disagio. Gli ho fatto gli auguri. Lui mi ha detto grazie. Gli ho dato il regalo. Lui ha detto ancora una volta grazie, e che non dovevo. Io ho risposto che era una sciocchezza. Lui ha scartato il regalo, e ha detto: che bello, un porta-chiaviUSB. Io ho risposto: in realtà, non è un porta-chiaviUSB, ma un portachiavi-USB. Lui ha detto fantastico, e ha detto di nuovo grazie. Io ho risposto non c’è di che. Era tutto così spontaneo e intimo e sincero, una sensazione nuova per me, ero abituato alle feste vecchia maniera. A un certo punto n.2 ha detto che potevamo anche spostarci dal corridoio, e andarci a sedere in sala, e così siamo andati in sala e ci siamo seduti su due poltrone, una di fronte all’altra. Ci siamo fissati per un po’. Lui sorrideva, amabile.
– Tanti auguri – gli ho detto.
– Sì, e poi? – ha detto lui, senza smettere di sorridere amabilmente. Mi sono stretto nelle spalle.
– Vuoi che guardiamo un po’ di tv? – ha detto. – Io ho il digitale extraterrestre. Prendo 24.015 canali. E sono in costante aumento! Il mio preferito è TVB, sul canale 7003. Fanno quel talkshow stupendo che si chiama WalkieTalkie, alle undici di sera. Tu che programmi guardi?
– Oh, io guardo l’effetto neve.
– Su che canale?
– Su nessuno. Cioè su tutti. No, è che ho una vecchia tv analogica, senza decoder.
– Cosa? Vuoi dire che ci sono ancora trasmissioni tv in analogico?
– Ce n'è una sola. Effetto neve. Quella che guardo io. C’è a tutte le ore.
– Accidenti, cosa darei per vederla.
– Basta che stacchi il decoder e la vedi anche tu.
– Non posso staccare il decoder, Bandini. È incorporato nella tv al plasma.
– Ah.
– E dimmi, sembra davvero neve?
– Se vuoi, una volta puoi venire a casa mia e lo guardiamo insieme, l’effetto neve.
– Ma sembra neve per davvero?
– Mah, in realtà no. Sembra più una minestra. Una minestra di cenere, tipo.
– Tipo neve?
Ho reclinato la testa indietro per appoggiarla allo schienale. Sembrava che lo schienale non arrivasse mai, mi sembrava di precipitare, cadere nel vuoto. Stavo per urlare, quando finalmente la mia nuca ha impattato nello schienale.
– No, tipo... tipo neve, sì. Sì, praticamente uguale – ho detto.
C’è stato un altro silenzio. Era un silenzio strano, come costruito a tavolino. Costruito a tavolino da scienziati stagisti, grossolano, per niente ergonomico, valvolare. Stavo per dire qualcosa, qualunque cosa, per farlo andare in pezzi, ma n.2 mi ha preceduto.
– Pensavo. Sai qual è il vero lusso, oggi come oggi e molto più di ieri?
Mi sono stretto nelle spalle.
– La salute mentale? – ho azzardato. È scoppiato a ridere.
– No – ha detto, – il dolore. Il dolore è il vero must-have dei nostri tempi. Facci caso. Si soffre sempre meno. Ci sono sempre più cure palliative, antidolorifici, anestetici, antinfiammatori, droghe, unguenti, psicofarmaci, farmaci omeopatici, esercizi yoga, rimedi della nonna. Ci sono caschi, cinture di sicurezza, airbag e paracadute ovunque. Farsi del male non è mai stato così difficile. Il dolore, è merce così rara ormai.
– Rara, tipo il cadmio?
– Bravo. Tipo il cadmio.
– Il dolore.
– Un lusso, Bandini.
Un lampo ha attraversato i suoi occhi.
– Vuoi farmi un regalo davvero prezioso per il mio compleanno, n.5?
– Se posso.
Ha inspirato molto lentamente.
– Colpiscimi.
Ho raddrizzato la schiena, agitandomi sulla poltrona.
– Ma eh? – ho detto.
– Dammi un pugno qui. In faccia. Adesso. Coraggio. Fammi questo regalo. Un po’ di dolore fisico.
– Ma come, ma come.
– Ma come come, un pugno! Dammi un pugno! Te lo chiedo per favore! È il mio compleanno! Solo un pugno in faccia, che sarà mai? Solo un...
Sulla faccia aveva quella specie di avanzo di sorriso e allora mi sono alzato di scatto e gli ho dato un pugno, dritto per dritto. È rimbalzato all’indietro e poi si è ripiegato in avanti, poi è scivolato a terra, tutto rannicchiato sulla sua faccia.
– L’occhio l’occhio il mio povero occhio figlio di puttana non ci vedo più! – ha mugolato.
– Non ti senti più fico?
– Mi hai preso l’occhio figlio di chiama il 118!
– No, non ringraziarmi! Figurati, per così poco!
Sono corso via lasciandolo lì.