7 giugno 2017

Soddisfazione di Ermete

Ero tornato a casa dopo una giornata di duro lavoro passata a sniffare cartucce esauste di toner nello sgabuzzino del reparto marketing e mi ero appena raggomitolato ai piedi del mio monticello di terra ammassato in un angolo di casa (sono un proprietario terriero, ho realizzato con soddisfazione), quando hanno suonato alla porta. Ho risposto al citofono ed era Fonzi Banana, l’ortolano del quartiere.
Ho socchiuso la porta di casa, senza aprirla del tutto, come si fa con i tizi che vengono a venderti l’invendibile.
– Fonzi?
Era proprio lui, nel suo giubbotto di pelle, anche nel caldo afoso di giugno.
– Eeeeeeeehi, Bandini.
Lo chiamano Fonzi perché porta sempre quello stupido giubbotto di pelle. E Banana perché, be’, vende la frutta.
– Fai consegne a domicilio adesso? Io comunque non ho –
– No, Bandini. Sono qua in veste di padrino di Ermete Dossi.
Padrino di Ermete? Padrino della cresima? Della comunione? Di battesimo, forse? Non sapevo che Ermete avesse ricevuto i sacramenti, e chi se ne fregava comunque? Non vedevo Ermete da una vita.
Ho fissato Fonzi e lui ha fissato me. A pensarci bene, avrebbero potuto chiamarlo Fonzi Lattuga, o Fonzi Ananas. Perché proprio Banana?
– Il duello, ricordi? Ermete ti ha sfidato a duello. E mi ha chiesto di fargli da padrino. Ed eccomi qua. Chi è il tuo padrino, Bandini? Debbo conferire con lui.
Il duello! E chi se ne ricordava più. Erano passati mesi. Ormai credevo che non se ne facesse più nulla, come di tutte le cose che riguardano Ermete.
– Fonzi, ma ancora questa storia del duello, andiamo. È passato un sacco di tempo.
– Il tempo è relativo, Bandini. L’ho letto su Focus. Ermete vuole soddisfazione. Chi è il tuo padrino? Debbo conferire con lui. Facciamo anche alla svelta che devo tornare in negozio, su, dài.
– Non ho nessun padrino, senti sono stanco, ho avuto una giornata di merda, anzi settimane di merda, mesi, di merda, e non è proprio il caso di –
– In tal caso dirò direttamente a te: il duello si svolgerà tra sette giorni all’alba, nel vecchio campetto abbandonato dei salesiani, nella Zona Deumanizzata. L’arma scelta per il duello è la fionda. Portati un padrino, e un testimone. Ci si vede là.
– Fionda?
Fonzi se n’è andato. Fionda, eh? Gliela faccio vedere io a quello sbruffone, ho pensato. Sono andato su ebay e ho comprato una fionda di precisione professionale potente per caccia pesca gioco sportiva, a 1 euro e 99, spedizione a 4,99 euro. Sette giorni dopo, all’alba, ho raggiunto la Zona Deumanizzata. Era un sacco di tempo che non ci andavo, c’erano cantieri, lavori in corso, cartelloni pubblicitari. Pochissimi licheni. Il campetto dei salesiani però era ancora abbandonato. Quando avevo tredici anni e non era ancora abbandonato ci avevo tirato un rigore contro la squadra avversaria dei ciellini, segnando. Vincemmo uno a zero.
Non c’era nessuno al campetto. Cominciai a tirare dei calci ai sassi. Dopo un po’ è arrivato un furgoncino Iveco che sembrava uscito dal cimitero delle macchine. Ne è spuntato fuori Fonzi Banana.
– Ciao, Bandini. Dov'è il tuo padrino?
– Vaffanculo al padrino, non ce l’ho.
– Tua madre non ti ha insegnato le buone maniere?
– Mia madre è morta.
– Prima di insegnartele?
– Adesso è un fungo.
– Chi?
– Mia madre.
– Ma certo. E mio padre è una banana.
Poi è arrivato un ragazzino, avrà avuto 13 anni. Puzzava da morire e gironzolava con aria strafottente. Fonzi mi ha riferito che era il testimone del duello. Si chiamava Jordi.
– Ciao Jordi – ho detto.
– Vaffanculo, devi morire – ha risposto lui.
– Quanto ci mette Ermete? Devo andare a ritirare al mercato ortofrutticolo, porcamadonna – è sbottato a un certo punto Fonzi. L’ho guardato con scherno: dov’era finito il suo aplomb fonzarellico? Io sentivo dentro di me una calma assoluta. Avrei potuto aspettare millenni in quel campetto che mi aveva visto trionfante.
Finalmente all’orizzonte, avvolto dalla corona di fuoco del sole, è apparso Ermete. Camminava strascicando i piedi. Era dimagrito, perfettamente rasato.
– Sono qua – ha detto, evitando il mio sguardo e fissando Fonzi.
– Alla buonora cazzo – ha detto Fonzi Banana, – avete le vostre fionde?
Io ho estratto dalla tasca posteriore la mia fionda di precisione professionale potente per caccia pesca gioco sportiva. Ermete ha tirato fuori un legnetto a Y con una fascetta elastica logora.
– Ti ricordi questo campetto, Bandini? È dove hai sbagliato quel rigore, tanti anni fa – ha detto Ermete, enfatico.
– Ma cosa. L’ho segnato, quel rigore.
– Il rigore l’hai sbagliato, coglione. E dopo hai fatto autogol. Avete perso 1 a 0 e per colpa tua i ciellini hanno conquistato il mondo.
Fonzi Banana ci ha invitati a stringerci la mano.
– Come sta Cinzia? – mi ha chiesto Ermete, sprezzante.
– Che cazzo ne so io? Non la vedo da una vita.
– Che oggi finisce.
– Eh?
– La vita. La tua. Oggi finisce.
Fonzi ci ha fatto disporre schiena contro schiena, quindi ci ha detto di fare dieci passi. Ho fatto dieci passi, mi sono girato. Ermete era ancora lì che contava i passi, incasinandosi coi numeri. Non vedevo l’ora di fiondargli via quella sua testa di cazzo incapace di stare al mondo. Quando si è voltato anche lui, inaspettatamente, mi ha fatto un sorriso.
– Allora, funziona così. Raccogliete un sasso a testa. Caricate le fionde. Al mio tre, lanciate. Buona fortuna – ha detto Fonzi, e dopo aver fatto tre passi indietro ha infilato le mani nelle tasche del giubbotto di pelle.
– San-gue! San-gue! San-gue! – ha cominciato a urlare Jordi, che si era seduto su un muretto poco distante.
Ermete si è piegato e ha raccolto un sasso, mettendoci un secolo a compiere l’operazione. Io ho fatto altrettanto, mettendoci un altro secolo – ma il tempo in fondo è relativo, come dice Fonzi Banana. Attaccato al mio sasso c’era un lichene.
– Caricate! – ha detto Fonzi. Abbiamo posizionato i sassi nelle fionde e teso gli elastici.
San-gue! San-gue! San-gue! San-gue! San-gue!
– Lanciate!
Ermete ha lasciato l’elastico. Il suo sasso ha compiuto una parabola altissima, passando sopra la mia testa di 5, 6 metri. Un vetro alle mie spalle è andato in frantumi.
– Merda – ha detto Fonzi Banana.
Allora ho lasciato anche io l’elastico. Il mio sasso lichenico è andato dritto a rimbalzare contro l’orbita dell’occhio sinistro del mio ex amico, che è caduto in ginocchio, urlando.
– Be’, io ho da fare. Vi saluto – ha detto Fonzi, è salito sul suo Iveco ed è partito. L’urlo di Ermete adesso era diventato una risata agghiacciante. Sono corso verso di lui. Si teneva una mano sull’occhio, e tra le dita gocciolava un rivolo di sangue. Si era steso sulla schiena e muoveva le gambe sbattendole in aria come uno che ride a crepapelle. E rideva davvero.
Attraverso la finestra sfondata dal sasso di Ermete qualcuno ha urlato: – Ho chiamato la polizia, balordi! Non la passate liscia!
Allora Jordi si è tirato su, ha scavalcato il muretto ed è corso via.
Ermete si è issato su a sedere.
– Come stai? – gli ho chiesto. Non avevo il coraggio di toccarlo.
– È stato grandioso – ha detto –, su, scappiamo!
Allora l’ho aiutato a tirarsi su e abbiamo cominciato a correre. Abbiamo corso per almeno dieci minuti, senza fermarci. Poi, esausti, ci siamo lasciati cadere su una specie di aiuola spartitraffico che non spartiva più nessun traffico.
Ansimavamo asincroni. Poi, a ritmo. Quando il respiro è tornato normale gli ho chiesto: perché la fionda?
Tenendosi la mano sull’occhio ferito, ha risposto: perché come li volevi lanciare, i sassi, a mano?
– Hai avuto soddisfazione, almeno?
Ha sorriso. Si è tolto la mano dalla faccia e sono sicuro di aver visto l’occhio tumefatto ammiccare.
– Tanta. Tantissima.

1 commento:

Maurizio ha detto...

Sei tornato Bandini grazie di cuore e complimenti ai tuoi pezzi... Siete stati quasi un anno in Sala Incubatrice??!