3 settembre 2015

Pellicola alimentare e manufatti memoriali

Mio padre è passato a trovarmi mentre cercavo di sigillare con la pellicola un piatto con degli avanzi di cibo. Io non lo so chi abbia inventato quella roba, la pellicola per alimenti intendo – sembra fatta apposta per uccidere un uomo, fisicamente e psicologicamente. Prima di tutto non si sa perché ogni volta che tiri fuori la confezione, la pellicola è sempre regolarmente arrotolata al cilindro, e ci vogliono secoli per trovarne il capo e soprattutto per distaccarla dalla pellicola sottostante. Poi finalmente quando ci riesci, cerchi di srotolarne una quantità bastevole alla bisogna, e quella improvvisamente diventa refrettaria alla pelle umana: si deforma sotto le tue dita, si attorciglia tutta di lato, si lacera, esce tutta sghemba; e quando finalmente decidi che ne hai srotolata abbastanza, cerchi di reciderla utilizzando il bordino seghettato, ma la pellicola diventa a un tratto resistentissima e non riusciresti a tagliarla neanche con il laser, e quando finalmente ci riesci – operando un taglio tutto obliquo e sbocconcellato, e provocandoti gravi tagli sanguinanti ai palmi delle mani per colpa del bordino seghettato di cui sopra, appena si stacca, la pellicola si contrae tutta appallottolandosi in una sfera indistricabile, che mai e poi mai riuscirai a ridistendere, se non malamente e a prezzo di indicibili bestemmie. Dunque ero lì mezzo avvolto nella pellicola per alimenti, che mi dibattevo lottando con il polietilene e grondando sangue, sotto gli occhi impassibili di mio padre.
– Stai cercando di suicidarti? – mi ha chiesto a un certo punto.
– Grazie mille per l’aiuto – ho risposto.
Dopo che mio padre mi ha liberato dalla morsa della pellicola alimentare con l’aiuto di un provvidenziale taglierino, provocandomi come danni collaterali alcuni tagli del resto poco profondi, io mi sono seduto stremato sul divano e lui si è dedicato al suo sport preferito: denigrarmi.
– Io non capisco come sia possibile alla tua età essere così inerte.
– A quale inerte ti riferisci in particolare? – ho chiesto io, che adoro puntualizzare, – ghiaia? Sabbia?
– Dovresti fare qualcosa per te stesso.
– Perlite? Argilla espansa? Vermiculite? Quale inerte esattamente?
– Ti comporti come se non avessi più un passato.
– Vuoi dire: futuro.
– No, voglio dire passato.
– Ma di che parli, il passato è passato, nessuno ce l’ha più.
– No, quello che nessuno avrà mai è il futuro. È futuro, puoi solo immaginarlo, è solo orizzonte. È roba intoccabile. Ma il passato si forma continuamente, ce n’è sempre di nuovo, e resta lì, sempre a portata di mano, se ti ricordi dove lo metti, beninteso.
– Assì eh? E il presente allora?
Mio padre ha alzato le spalle.
– È la fabbrica del passato, no? Il presente è il nostro lavoro quotidiano, il passato è il frutto del nostro lavoro. Questo facciamo ogni giorno, fabbrichiamo ricordi. Tu invece sei in sciopero, a quanto pare. Sciopero continuato.
– E tu invece che cos'è che staresti facendo, di tanto produttivo?
– In questo momento per esempio sto cercando di costruire un bel ricordo, tutto bello tornito, di me che parlo con mio figlio. Un manufatto artigianale di pregiata fattura, da rigirarmi in mano di quando in quando, tra qualche anno. Ma tu me lo stai rovinando, purtroppo. Mi sa che dovrò buttarlo via.
Per un momento ho pensato di prendere il seghetto della pellicola alimentare per segare la giugulare a mio padre. Non l’ho fatto, ma adesso in compenso ho fabbricato questo ricordo di me che ho pensato per un istante di ammazzare mio padre, e l’ho fatto pure senza rendermi conto, e dovrò portarmelo dietro per il resto dei miei giorni, a meno che non ricominci a fare la Raccolta Differenziata Tibetana dei Pensieri, ma col cazzo che rischio di ritrovarmi tra i piedi il mio maestro di RDTP, meglio convivere con ricordi di maldestre intenzioni omicide che con la puzza del suo alito.

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