21 maggio 2014

Dipende da me

Il mio maestro è entrato in casa, circonfuso da quella che mi piacerebbe tanto definire “aura di misticismo”, ma che mi limiterò a chiamare “puzza rancida”. Indossava una camicia hawaiiana, ma faceva piuttosto pensare alle hawaii subito dopo un test nucleare. La sua faccia era fresca di rasatura, ma una rasatura imprecisa, che gli aveva lasciato ciuffi di peli grigi qua e là. Aveva le unghie delle dita listate di marroncino.
– Ehilà… – ha detto, e ha letto furtivamente su un foglietto stropicciato che teneva in pugno, – … Bandini! Come va?
Il mio capo, allarmato per la mia recente condotta al lavoro, lo aveva contattato e mandato da me. Per farmi, un seminario?, un corso privato?, una sessione di recupero? sulla RDTP, visto che avevo smesso di praticarla. Indossava un paio di sandali infradito, sopra a dei calzini di spugna neri, malandati. I calzini avevano un buco in corrispondenza degli alluci e gli alluci uscivano dal calzino, permettendogli di indossare, non senza qualche difficoltà, gli infradito.
– Maestro – ho detto io, non sapendo che altro dire, – maestro.
– Chiamami semplicemente “maestro”. “Maestro maestro” mi sembra eccessivo. Posso usare il tuo bagno?
Gli ho indicato la porta del bagno, ha attraversato il corridoio trascinando i sandali e si è chiuso dentro. Per una decina di minuti l’ho sentito fare rumori strani, come risucchi catarrosi e risate enfisematiche. Poi è uscito, e ho visto i suoi occhi puntare Dolly, riversa sul divano.
– Ti scopi le pecore finte eh?
Io ho sussultato. Nonostante fosse piuttosto malconcio, non aveva perso il suo acume. Questa cosa mi sollevava e mi imbarazzava allo stesso tempo.
– Be’, io. È una cosa momentanea. Me l’hanno regalata per il compleanno. Io non avrei mai. Avevo una bambola gonfiabile, ma me l’hanno uccisa. Cioè, bucata. E così… ho avuto problemi con l’elaborazione del lutto, cose così, e Dolly – la pecora gonfiabile, intendo, su questo mi ha aiutato moltissimo devo dire, a ricreare una specie di Eden nella mia testa, un luogo dove la morte è bandita e si vive in armonia con la natura…
– La mia era una battuta, Bandini.
– Ah. Sì, certo.
Mi ha spiegato che gli dispiaceva molto che avevo smesso con la RDTP. Ero stato uno dei suoi migliori allievi. Al tempo avevo acquisito una dimestichezza con i Pensieri Pinza che lasciava ben sperare. Quindi quando il mio capo lo ha chiamato spiegandogli la situazione, non ha esitato a interrompere le sue attività e a precipitarsi da me.
– Intende dire che è venuto gratis?
– Neanche per sogno, mi hanno pagato naturalmente.
Il maestro ha sorriso. Aveva i denti gialli, per la precisione giallo indiano: una gradazione di giallo derivante dal pigmento organico chiamato euxantato di magnesio. Il giallo indiano si otteneva in questo modo: si dava da mangiare a una vacca delle foglie di mango. Quindi si prendeva l’urina della vacca così nutrita e si mescolava con allume di potassio, solfato di magnesio, sali di ammonio, acqua ed euxantato. Lo so perché una volta ho guardato su Youtube un tutorial sui colori.
Il maestro ha continuato a sorridere. Aveva mangiato euxantato? Piscio di vacca nutrita a foglie di mango? Che cosa si aspettava che io facessi o dicessi, a questo punto?
– Hai la mente piena di merda, non è così? – ha detto, senza smettere di sorridere.
Sono crollato in ginocchio. Non riuscivo a parlare. Mi ha messo una mano sul capo. La sua mano tremava impercettibilmente.
– Ascolta, ti aiuterò. Sono disposto a riprendere con te il cammino interrotto. A raccogliere e conferire e differenziare i cosi.
– I cosi? – ho chiesto, con la voce che mi tremava – ma forse il tremore della mia voce proveniva da quello della mano del mio maestro, non so.
– I cosi, come si chiamano.
– I pensieri?
– Ma sì, quelli. Quanto fiato sprecato. A una condizione. Negli ultimi tempi ho fatto investimenti sbagliati. Posso usare di nuovo il tuo bagno? No, aspetta. Prima la condizione. Quanta poca lucidità tra la gente, hai notato. Che tu mi ospiti. Si tratta di questo. Che fai in ginocchio? Vuoi spompinarmi?
Mi sono alzato di scatto.
– Maestro, non ho capito.
– Era una cosa, una battuta.
– No, dico, non ho capito la condizione.
– La condizione! Che tu mi ospiti! Che mi ospiti in casa tua per tutta la durata del percorso di apprendimento.
– E quanto tempo è?
– Questo – ha incominciato, interrompendosi per scoreggiare – questo dipende da te. Posso usare di nuovo il tuo coso? Il bagno?
È andato a richiudersi di nuovo nel mio bagno.
Non so bene perché, quando mi dicono che una cosa dipende da me, ho l’impulso irresistibile di fare specchio riflesso.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

se fossimo su FB metterei MI PIACE

Bandini ha detto...

Perché?

ds ha detto...

sto provando ad immaginare quel gran figlio di buona donna del capo di bandini che vista la fattura del maestro per bandini, ma non ci riesco, da chi è stato pagato, dalla pontesi?

Bandini ha detto...

Lui dice che lo ha pagato la Clebbino. Poi magari me lo decurtano dallo stipendio, vai a sapere.