25 settembre 2013

La fine di un continente

Appena arrivati a Vladivostok, mio padre e Maya si sono sistemati in un albergo fatiscente dalle parti del porto, gestito da un giapponese. Nelle prime settimane hanno vissuto come due sposini in viaggio di nozze. Facevano lunghe passeggiate sulla Fokina e poi sulla Svetlanskaja, passavano pomeriggi al giardino botanico, si sedevano sulle panchine della baia a guardare le vecchie navi militari e altre cose tipiche che si possono fare a Vladivostok. Dopo qualche tempo mio padre ha trovato lavoro come pizzaiolo in un ristorante del centro.
– Cosa? Ma se non ti ho mai visto fare una pizza in vita tua.
– Non è che tutto quello che non vedi non esiste, sai?
Dopo un po', lui e Maya hanno lasciato l'albergo e sono andati a vivere in una casa in affitto, su una delle colline della città. Maya iniziò a chiudersi in casa. Passava ore a guardare dalla finestra in direzione dell'oceano. Non sopportava il clima vladivostokiano, quelle piogge monsoniche che non finivano mai, il vento gelido che d'inverno faceva strillare i vecchi infissi, e altre cose climatiche di quel genere, tipiche di Vladivostok. Le mancava la sua edicola. Potremmo rilevarne una qua, le ha detto un giorno mio padre. Mi fanno schifo i caratteri cirillici, mi sentirei circondata, gli ha risposto lei. Alla fine anche lei si è trovata un lavoro, in una stireria&lavanderia coreana. Lei lavorava tutto il giorno fino alle sei, lui alle sei andava in pizzeria. Si salutavano per le scale, incrociandosi. A casa lei non stirava più ("Ogni volta che vedo un ferro da stiro mi metterei a urlare") e mio padre ha iniziato a indossare camicie stropicciate. Poi, niente. A un certo punto, non si incontravano più nemmeno per le scale. Mio padre usciva che lei ancora non era rientrata. Quando tornava a casa dalla pizzeria, a notte fonda, la trovava a letto, che russava. Lei diceva che aveva un sacco di lavoro da fare, faceva gli straordinari, per quello che rientrava tardi. Poi un pomeriggio di sole mio padre è uscito di casa prima del solito ed è andato a fare una passeggiata al mercato cinese, e l'ha vista, tra le bancarelle, abbracciata a un soldato russo. Si stava bene, al mercato cinese, e con il sole faceva quasi caldo, ed era bello stare abbracciate a un soldato russo, passeggiare tra le bancarelle di Vladivostok, lì, alla fine del continente. Era sicuramente così, no? Probabilmente, sì. Il giorno dopo quando è ancora buio, Maya si alza per andare al lavoro e sente puzza di bruciato. Non in senso figurato: c'era proprio qualcosa che stava bruciando. Corre in sala e trova mio padre, alzato, in mutande, che sta stirando una camicia. Tiene il ferro da stiro fermo sopra la camicia, e la camicia sfrigola e fuma.
– Che stai facendo? gli chiede lei.
– Mi piacciono tostate, le camicie – risponde lui.
– Davvero le hai detto così? – gli chiedo io.
– Aspetta, il meglio deve venire.

2 commenti:

Davide Saponetti ha detto...

no dai, anche i cliffhangers tra post e post? Ti sei messo anche tu a guardare Breaking Bad?

Bandini ha detto...

@Davide: No, è che c'avevo da fà.
Comunque l'ho visto, Breaking Bad. È la storia di uno che nella vita lotta per diventare qualcuno, e (spoiler alert!) alla fine ci riesce.