28 aprile 2014

Condividetemi

Su Internet ormai condivido tutto: i risultati dei test psicologici, i punteggi dei giochi online, le foto, la musica, i video delle mie endoscopie e tutti gli esiti dei miei esami clinici, mi basta cliccare sui pulsanti giusti e in un secondo parte la condivisione. C’è solo un piccolo problema: tutta quella gente che vuole condividere le sue cose con le mie, come se io non fossi già abbastanza impegnato a condividere le mie con loro, come se avessi tempo di condividere anche le loro. Che cos’hanno le mie cose, non gli bastano? Ogni giorno mi spendo per condividere decine di cose con loro, non sono sufficienti a riempirgli la vita? Che se ne fanno delle loro noiosissime cose, quando io gli do la possibilità di condividere le mie? Le mie cose bastano e avanzano per tutti quanti, per me e per loro, se la gente la smettesse di condividere le sue cose con me, sarebbe un mondo migliore. La gente io lo so, condividono le loro cose solo perché c’è il pulsante “Condividi”, è più forte di loro, la gente basta che gli dai qualcosa da cliccare e ci cliccano subito. La verità è che ci vorrebbe un pulsante “Tienitelo per te”, la gente ci cliccherebbe subito sopra e così ci sarebbe molta meno condivisione di roba altrui e molta più condivisione in santa pace della mia roba.

24 aprile 2014

Polistirolo, espanso

E ora un po’ di sano disagio.
Da qualche tempo faccio questo sogno ricorrente: entro in luoghi pubblici affollati, tipo centri commerciali, palestre, chiese, multisale. Mi guardo intorno, e poi a un certo punto estraggo un fucile a canne mozze – non so esattamente dire da dove lo estraggo, se da una fondina ascellare, o da un maxi-marsupio inguinale, o dalla mia stessa carne, come se mi sfilassi una vertebra –, lo punto in alto e dico, con molta calma e con un tono di voce medio, una frase: questa.
E ora un po’ di sano disagio.
Quindi, abbasso il fucile e comincio a sparare all’impazzata, ad altezza uomo, palline di polistirolo espanso.
La gente intorno a me continua a fare quello che sta facendo – mangiare gelati, leccare leccalecca, cantare il padrenostro, portare a spasso il cane, fare biglietti, correre sui tapis roulant – limitandosi a farsi schermo con le mani, o a spazzolarsi via le palline di polistirolo, componendo espressioni di sommo disagio e dicendo cose tipo: ma che disagio, accidenti.
Su eBay ho comprato 3 chili e mezzo di palline di polistirolo e poi sono andato da Mediaworld. Volevo seminare un po’ di sano disagio, ma mi sono accorto che nella fretta mi ero dimenticato di comprare il fucile a canne mozze. Allora ho fatto dietrofront per uscire e tornarmene a casa ma all’uscita sono stato fermato dall’addetto alla sicurezza.
– Ancora tu – mi ha detto, bloccandomi con una mano sulla spalla, – non vedo l’ora di scoprire che cosa ti sei inventato stavolta. Avanti, vuota le tasche.
– Credimi, meglio di no.
– Crederti? Vuoi un atto di fede? Ti ricordo che studio filosofia alle scuole serali. Non sono un bigotto qualunque. Vuota le tasche. Adesso.
Ho rovesciato le mie tasche e centinaia di palline di polistirolo sono cadute in terra e rotolate ovunque. L’addetto alla sicurezza era pietrificato.
– Disagio, eh? – gli ho detto.

23 aprile 2014

Annuendo

– Riguardo alla tua ipotesi dell’altro giorno, n.3.
– Eh? Quale ipotesi?
– Quella sul pisciare sperma ed eiaculare piscio. Ci ho pensato in questi giorni, e sono giunto alla conclusione che, se così fosse – se cioè pisciassimo sperma ed eiaculassimo piscio, ne deriverebbe che eiaculeremmo molto più spesso, almeno quattro-cinque volte al giorno, tutti i giorni, al fine di consentire la regolare pulizia dei reni, e quindi la cosa dovrebbe essere tutt’altro che spiacevole. D’altra parte, il rovescio della medaglia: pisciare sperma renderebbe molto più difficile procreare, perché implicherebbe la necessità di pisciare nella vagina, e con il pene molle oltretutto, cosa difficilissima – intendo dire infilare un pene molle in una vagina, se non impossibile. Quindi, a meno di ricorrere alla fecondazione assistita, mi sa che ci estingueremmo molto presto. Ma anche questa in fondo non mi sembra un’opzione così spiacevole, quindi insomma, fatte le dovute considerazioni, pisciare sperma ed eiaculare piscio potrebbe anche essere la soluzione di tutti i nostri mali.
– Interessante – ha detto n.1, mentre n.3 era come ammutolito e guardava a destra e sinistra, furtivamente.
– E dobbiamo parlarne proprio durante la riunione settimanale? – ha detto il capo.
– No, io, certo, immagino di no. Chiedo scusa – ho detto, senza metterci troppo sentimento.
– Sai n.5, mi chiedevo una cosa – ha detto il capo, facendo ruotare tra pollici e indici delle due mani una matita Faber-Castell, – pratichi ancora quella forma di, ehm, meditazione particolare? La Raccolta Differenziata Tibetana dei Pensieri?
Ho scosso il capo risolutamente. In effetti non faccio la RDTP da mesi. Il capo invece ha annuito con una lentezza insostenibile, come assecondando una forza esterna, sembrava preso a un amo dal quale cercava di liberarsi svogliatamente.
– Credo che, ecco, ti farebbe bene ricominciare a farla – ha detto.
Stavolta ho annuito io, accordandomi al suo stesso movimento e alla frequenza del suo annuire, al quale piano piano si sono conformati tutti gli altri, solo n.3 era leggermente fuori tempo, annuivamo tutti e nessuno voleva essere il primo a smettere, avremmo annuito fino a che la testa non si fosse staccata dal capo, rotolando ai nostri piedi, piccole graziose fontanelle di sangue che zampillano dai nostri tronchi decapitati mentre i nostri occhi fissano le nostre scarpe, che lentamente si macchiano di rosso.

16 aprile 2014

Una cosa alla volta

– Conosco gente che mentre corre al parco ascolta la musica con le cuffiette, e quando è al lavoro nelle cuffiette ci ascolta i suoni della natura, tipo le foglie, la pioggia, i grilli, sai quei rumori che si sentono al parco, tipo, se uno non andasse al parco con le cuffiette.
Quella gente sono io, per esempio. Ma questo non glielo dico, a creativo n.3.
– Potrebbe andare peggio di così – dice n.3, masticando una radice di liquirizia. – Pensa per esempio se pisciassimo sperma ed eiaculassimo piscio.
Non ci avevo mai pensato, in effetti.
È una cosa che fa molto riflettere.
Ma c’è un’altra questione che mi frulla in testa, ed è: che cosa si prova ad essere umani?
Mi sa che è una domanda a cui potremo rispondere solo dopo, dopo cioè che saremo diventati qualcos’altro, e potremo guardare l’umanità in prospettiva, ma siccome io volevo saperlo adesso, allora ho pensato di andarlo a chiedere a mia madre. Così sono andato al cimitero. Mia madre era lì, un funghetto marroncino cresciuto dietro al vaso dei fiori sulla sua stessa tomba.
Ciao ma’, le ho detto, volevo chiederti ‘sta cosa: che cosa si prova ad essere umani? Adesso che sei un fungo hai sicuramente un punto di vista esterno sull’intera faccenda. Io ci sto ancora troppo dentro per capirci qualcosa.
Ma mia madre non mi ha risposto. Forse non se lo ricorda più, com’era essere umani. Perché c’è questa fregatura, che possiamo essere solo una cosa alla volta. Perché? Perché posso essere solo una cosa alla volta? Perché non posso essere più cose contemporaneamente, mamma? Ecco un altro motivo per cui invidio i licheni, che sono alga e fungo insieme, o un cianobatterio e un fungo insieme, ma comunque sempre due cose, insieme. Mentre noi umani, noi possiamo stare insieme anche a cento persone contemporaneamente, ma saremo sempre e comunque solo noi stessi. Perché non posso essere contemporaneamente me stesso e Dolly? Me stesso e mio padre? Me stesso e una caffettiera? Era un pensiero che mi provocava un dolore lancinante allo sterno, al cui confronto l’idea di pisciare sperma ed eiaculare piscio mi sembrava tutto sommato così trascurabile. Anche se in effetti, a pensarci bene, aveva degli effetti collaterali interessanti.

4 aprile 2014

Oltre il chilometro zero

Ieri sono andato a cena da Ermete e Cinzia nella Zona Deumanizzata. Abbiamo ordinato tre pizze da RapidoPizza. Io ero stupito dal fatto che consegnassero una pizza nella Zona Deumanizzata, ma Cinzia mi ha spiegato che da quando lì vicino hanno aperto il nuovo centro commerciale Clebbino le cose stanno cambiando a velocità supersonica.
– Assì? – ho detto io, – e a che velocità esattamente? Mach 2? Mach 3?
– Eh? – ha detto lei.
Alla fine le pizze le ho dovute pagare io.
– Siamo un po’ a corto di liquidi, in effetti – si è giustificato Ermete.
A corto di liquidi, le cose cambiano a velocità supersonica, ma come cazzo parlano, ho pensato. Ma come cazzo parliamo tutti, ho pensato poi. Ma perché parliamo, ho pensato infine.
– Non è che puoi prestarci qualcosa – mi ha detto Ermete, mentre Cinzia era andata a portare i cartoni della pizza in quella che un tempo era la cucina, prima che il gas venisse tagliato e tolta l’acqua corrente e chiazze di licheni tappezzassero le piastrelle. Quindi, era per quello che volevano che li andassi a trovare. Chiedermi dei soldi. Altro che vecchi tempi. Nel periodo che ho abitato nella Zona Deumanizzata con loro, dopo che avevamo finito di saccheggiare tutto lo scatolame delle dispense delle case disabitate del circondario (dopo aver finito di fare la spesa a chilometro zero, diciamo), abbiamo dovuto cominciare a spingerci a chilometro 1, chilometro 2, avvicinandoci ai margini della Zona Deumanizzata. Certe volte mangiavamo roba che cresceva spontaneamente nei cortili. Più raramente, ci spingevamo in città a fare la spesa al Crai più vicino, più o meno a chilometro 4, quasi 5.
– E tutti i risparmi di Cinzia? – dico io.
– Che risparmi? – ha detto Ermete.
Gli ho dato tutto quello che avevo in contanti nel portafogli, 23 euro.
– Tutto qua?
– C’è un bancomat qui vicino?
– Al centro commerciale, ma adesso è chiuso. Il più vicino è a chilometro 6.
Abbiamo preso la mia macchina per andare al bancomat. Cinzia è rimasta a casa. Guidavo pianissimo, non so perché, forse per evitare le buche, o forse per non mancarne neanche una. A un certo punto Ermete ha cominciato a ridere e a fregarsi le mani.
– Che c’è? – gli ho chiesto.
– Ci pensi mai che la scuola è finita? Che non dovremo mai più fare lo zaino con i libri, fare i compiti, le interrogazioni, i voti, quella roba là. Non è una figata totale?
– Ermete, stiamo parlando di, tipo, vent’anni fa.
– E allora? Guarda che la scuola è finita allora ma lo è ancora adesso, finita. Non è più iniziata. Non inizierà mai più. Capisci? Non sei felice?
– Cristosanto, è roba vecchia, come faccio.
– Non era quello che desideravi di più, quando andavi a scuola? Non contavi gli anni, e poi i mesi, e poi i giorni? Perché la gente fa così? Perché la gente si scorda subito di essere felice? Perché non continua ad esserne felice anche dopo? La scuola, cazzo! Non ci devi andare più, cazzo! È finita! Finita! Finita!
Ha cominciato ha darmi delle pacche sulla spalla, sempre più forte, continuando a urlare che era finita, la scuola: ne è nata una specie di colluttazione che mi ha mandato fuori strada, dentro a un fosso.
– Ecco fatto, sei contento adesso, idiota? – ho urlato, cercando di uscire dal finestrino.
– Ero contento anche prima, veramente – ha detto lui, – ti ricordo infatti che la scuola è finita.
L’ho lasciato lì. Affanculo il bancomat e i suoi soldi. Ho chiamato un taxi e mi sono fatto riportare a casa. E mentre ero nel taxi e fissavo il tassametro e la radio del taxi mandava una canzone di Renga Francesco, ho cominciato a pensare che in effetti era vero, che la scuola era finita. Ma non riuscivo ad esserne felice! Anzi! Ne ero triste! Perché la vita è così incasinata? Per fortuna che dopo a casa ho guardato su YouTube un video con le risate buffe della gente, e mi è tornato il buonumore.

2 aprile 2014

Nuove stagioni all'orizzonte

– La primavera mi ha rotto il cazzo – dice Creativo n.2.
– Intendi il quadro di Botticelli? – dico io.
– Il quadro di chi? No, ma che quadro, intendo la stagione. È iniziata da, quanto?, dieci giorni?, e già mi ha rotto il cazzo. Non ti pare che le stagioni durino troppo? Tre mesi, è un’eternità. Ed è così da un sacco di tempo! Tipo, nel Medioevo, già duravano tre mesi, giusto? Ti pare una cosa possibile che dal Medioevo a oggi ci siano le stesse identiche stagioni di tre mesi? Cioè, il mondo è cambiato, cazzo. Viviamo nell’epoca della velocità, di Internet, del viral marketing, tutto è più rapido, dura di meno, colpisce di più, come l’Ebola. Che cazzo ce ne facciamo di stagioni di tre mesi? In tre mesi un sistema operativo rilascia un sacco di aggiornamenti, per dire. Le vogliamo aggiornare un po’, queste stagioni? Cosa stiamo, ancora legati ai ritmi dell’agricoltura, nel Terzo Millennio? Stagioni più brevi, ci vogliono, di quindici-venti giorni, non di più. E poi cambiare.
– Ma come fai, mica è una cosa che decidi tu.
– Ma per favore. Siamo capacissimi di modificare il clima, oggi come oggi. Si fanno o non si fanno conferenze su conferenze sul cambiamento climatico causato dall’uomo? Siamo capacissimi, quante storie. Che cazzo ci vuole. Basta immettere nell’atmosfera i gas giusti, dosarli opportunamente, come coi cocktail. Stagioni customizzate.
– Ma se le fai durare solo quindici giorni, in un anno avremo tipo sei inverni, sei estati, sei primavere, sei autunni...
– No, non hai capito, non parlo di cambiare solo la durata, parlo anche di aumentare la varietà. Più stagioni. Stagioni nuove. Oltre a primavera-estate-autunno-inverno, che saranno, come dire?, i Grandi Classici, crearne un’altra ventina di completamente nuove. Dosando i gas nell’atmosfera. La stagione delle Nebbie! La stagione delle Tempeste di Sabbia! La stagione Bipolare, caldo-freddo caldo-freddo! La stagione delle Folate di Vento Umido all'aroma di Menta! La stagione delle Alluvioni Tiepide! Aumentano le stagioni, aumentano le relative collezioni di moda, si moltiplicano i prodotti di stagione, le tipologie di pneumatici, i saldi, migliora l’umore, nascono nuovi sport, centuplicano le cure contro i malanni di stagione, le previsioni del tempo diventano show grandiosi, la meteorologia si fa spumeggiante, più ricca e varia della programmazione televisiva. La vita diventerà più varia, più ricca, più calzante, più confacente. Che cos’è questo rumore?
– Che rumore?
– È ora.
– Eh?
– È ora, devo andare.
– Che ora?
– Ora è ora. L’ora. Scusa, ne riparliamo.
Fila via. Lo guardo quasi correre lungo il corridoio, si fa sempre più piccolo, violando la prospettiva, facendosi cioè piccolo non tanto e non solo all’aumentare della distanza, no, rimpicciolendo proprio, progressivamente, lui stesso.