Ieri sono andato a cena da Ermete e Cinzia nella Zona Deumanizzata. Abbiamo ordinato tre pizze da RapidoPizza. Io ero stupito dal fatto che consegnassero una pizza nella Zona Deumanizzata, ma Cinzia mi ha spiegato che da quando lì vicino hanno aperto il nuovo centro commerciale Clebbino le cose stanno cambiando a velocità supersonica.
– Assì? – ho detto io, – e a che velocità esattamente? Mach 2? Mach 3?
– Eh? – ha detto lei.
Alla fine le pizze le ho dovute pagare io.
– Siamo un po’ a corto di liquidi, in effetti – si è giustificato Ermete.
A corto di liquidi, le cose cambiano a velocità supersonica, ma come cazzo parlano, ho pensato. Ma come cazzo parliamo tutti, ho pensato poi. Ma perché parliamo, ho pensato infine.
– Non è che puoi prestarci qualcosa – mi ha detto Ermete, mentre Cinzia era andata a portare i cartoni della pizza in quella che un tempo era la cucina, prima che il gas venisse tagliato e tolta l’acqua corrente e chiazze di licheni tappezzassero le piastrelle. Quindi, era per quello che volevano che li andassi a trovare. Chiedermi dei soldi. Altro che vecchi tempi. Nel periodo che ho abitato nella Zona Deumanizzata con loro, dopo che avevamo finito di saccheggiare tutto lo scatolame delle dispense delle case disabitate del circondario (dopo aver finito di fare la spesa a chilometro zero, diciamo), abbiamo dovuto cominciare a spingerci a chilometro 1, chilometro 2, avvicinandoci ai margini della Zona Deumanizzata. Certe volte mangiavamo roba che cresceva spontaneamente nei cortili. Più raramente, ci spingevamo in città a fare la spesa al Crai più vicino, più o meno a chilometro 4, quasi 5.
– E tutti i risparmi di Cinzia? – dico io.
– Che risparmi? – ha detto Ermete.
Gli ho dato tutto quello che avevo in contanti nel portafogli, 23 euro.
– Tutto qua?
– C’è un bancomat qui vicino?
– Al centro commerciale, ma adesso è chiuso. Il più vicino è a chilometro 6.
Abbiamo preso la mia macchina per andare al bancomat. Cinzia è rimasta a casa. Guidavo pianissimo, non so perché, forse per evitare le buche, o forse per non mancarne neanche una. A un certo punto Ermete ha cominciato a ridere e a fregarsi le mani.
– Che c’è? – gli ho chiesto.
– Ci pensi mai che la scuola è finita? Che non dovremo mai più fare lo zaino con i libri, fare i compiti, le interrogazioni, i voti, quella roba là. Non è una figata totale?
– Ermete, stiamo parlando di, tipo, vent’anni fa.
– E allora? Guarda che la scuola è finita
allora ma lo è ancora
adesso, finita. Non è più iniziata. Non inizierà mai più. Capisci? Non sei felice?
– Cristosanto, è roba vecchia, come faccio.
– Non era quello che desideravi di più, quando andavi a scuola? Non contavi gli anni, e poi i mesi, e poi i giorni? Perché la gente fa così? Perché la gente si scorda subito di essere felice? Perché non continua ad esserne felice anche dopo? La scuola, cazzo! Non ci devi andare più, cazzo! È finita! Finita! Finita!
Ha cominciato ha darmi delle pacche sulla spalla, sempre più forte, continuando a urlare che era finita, la scuola: ne è nata una specie di colluttazione che mi ha mandato fuori strada, dentro a un fosso.
– Ecco fatto, sei contento adesso, idiota? – ho urlato, cercando di uscire dal finestrino.
– Ero contento anche prima, veramente – ha detto lui, – ti ricordo infatti che la scuola è
finita.
L’ho lasciato lì. Affanculo il bancomat e i suoi soldi. Ho chiamato un taxi e mi sono fatto riportare a casa. E mentre ero nel taxi e fissavo il tassametro e la radio del taxi mandava una canzone di Renga Francesco, ho cominciato a pensare che in effetti era vero, che la scuola era finita. Ma non riuscivo ad esserne felice! Anzi! Ne ero triste! Perché la vita è così incasinata? Per fortuna che dopo a casa ho guardato su YouTube un video con le risate buffe della gente, e mi è tornato il buonumore.