28 marzo 2014

No Aloha

Ieri al lavoro il capo ha convocato in Sala Incubatrice Creativo n.2, Creativo n.3, Creativo n.4 e me (Creativo n.5) per presentarci il nuovo Creativo n.1, che ha preso il posto del vecchio Creativo n.1. Si tratta di una donna.
– Non posso crederci, è una donna – mi ha bisbigliato all’orecchio n.3.
Sono sicuro che con n.1 farete subito team, ci ha detto il capo. Non per niente il suo curriculum parla a chiare lettere di eccezionale predisposizione al lavoro in team. E noi alla Clebbino non selezioniamo le persone a caso, ha aggiunto tutto compiaciuto. Vuoi dire qualcosa ai tuoi nuovi colleghi, n.1?
– Senz’altro. Prima di tutto: aloha a tutti! Poi: nei giorni scorsi ho studiato un po’ le passate strategie di penetrazione della nostra azienda nei mercati esteri, soprattutto per il comparto food. E riflettendo – facendo in un certo senso brainstorming tra me e me, quindi autobrainstorming? selftbrainstorming? – mi sono accorta che ci sono vastissime zone del pianeta, come l’Africa Subequatoriale e alcune parti dell’Asia, che dal punto di vista del mercato alimentare sono praticamente vergini.
– Ti riferisci alle aree colpite dalla fame? Intendo, la “fame nel mondo” – ho detto io.
N.1 ha allargato le braccia e rivolto i palmi verso l’alto, come a dire “proprio così!”. Mi ha fatto venire voglia di darle un cinque.
– Vedete – ha ripreso – quello che penso è che la fame del mondo non è una piaga. È una gigantesca opportunità! Ma vi rendete conto, mentre il mondo industrializzato come mercato alimentare è ormai essenzialmente saturo, con consumatori ben pasciuti e a volte addirittura sovrappeso, qua abbiamo milioni di potenziali consumatori che fanno letteralmente la fame. Che non aspettano altro che comprare i nostri prodotti per mettere qualcosa nello stomaco. La domanda che dobbiamo porci allora è: come mai questa gente non compra i nostri wurstel, i nostri snack, i nostri pelati, la nostra polenta, i nostri gelati? Dov’è il problema? Nella distribuzione? Nel marketing? Nei punti vendita? Sì lo so, LO SO, noi qua siamo soltanto creativi, questo non è il reparto marketing né il commerciale, ma facciamo parte di una famiglia, no? È tempo anche per noi di fare la nostra parte, o sbaglio? Siamo un po’ come tutti imparentati, non vi pare? O apparentati? Niente, ho finito, e ora per favore posso baciarvi, vero? Come a dei familiari.
E detto ciò ci ha baciati sulle guance uno per uno. Quando si è accostata a me ho sentito un profumo buonissimo, di acquaragia.
Più tardi, io e gli altri creativi 2, 3 e 4 eravamo nella Saletta Ristoro a debriffare la cosa (non ho mai capito esattamente che cosa significhi il verbo “debriffare”, ma a un certo punto qualcuno ha cominciato a usarlo, in qualche meeting aziendale, e così il suo uso si è diffuso come un’ondata di panico, e tutto quello che posso dire è che ogni volta che mi sembra di averne colto il senso, ecco che il concetto si fa di nuovo sfuggente, muta, evolve. L’altro giorno per esempio in sala mensa uno del commerciale mi ha detto se per favore gli debriffavo l’insalata).
A un certo punto n.2 ha detto:
– N.1, intendo il vecchio numero 1, questa cosa non la prenderà bene.
– Ma che dici, non ti ricordi? N. 1 è stato promosso – ho detto io, facendo il gesto di spararmi in bocca.
– Che cosa? Ma quando? – ha detto n.2.
– Comunque – è intervenuto n.4 – a chi la racconta il capo?, questa tizia è qua solo perché carissima amica di quell’Armenia, la figlia di uno dei dirigenti. Lo so perché me l’ha detto coso.
– Coso? – ha detto n.3.
– Amica intima – ha continuato n.4, ammiccando, – moooolto intima. Non so se. Pucci pucci pucci. Mi sono spiegato? Lap lap lap – ha cominciato a fare, aprendo indice e medio a V e facendoci ballare in mezzo la lingua – chiaro, no? Eh? Eh?
È arrivata n.1, quella nuova.
– Ah ma siete tutti qua – ha detto, sorridendo.
– Be’ scusate, ora devo andare, ho una chiamata da fare – ha detto n.4.
– Anch’io.
– Anch’io.
– Anch’io.
Sono rimasto lì, a stritolare il mio bicchierino di plastica con dentro un 24 con molto zucchero.
– Geniale la tua idea sulla fame del mondo – ho detto, parlando dentro al bicchierino. Ne è uscita una voce plastificata, da megafono sott’acqua.
– Grazie! Sì, be’, la considero la mia – direi – illuminazione – ha detto n.1, solare.
Ho annuito.
– Ora vado, devo andare – ho detto, facendo mezzo giro su me stesso, e puntando il corridoio.
– No bye? No aloha? – ha detto lei.
– Eh?
– Neanche un saluto?
– Oh ah sì, aloha.


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